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  • Mar-2024

    • GhostScript e Stirling PDF: manipolare PDF in sicurezza

      Chi non ha mai avuto la necessità di manipolare un file PDF? Magari ti serviva unire due PDF in uno solo, oppure estrarne una o due pagine appena, oppure volevi aggiungere un watermark ad un documento scansionato senza troppe acrobazie da cartoleria…

      Foto che ritrae una pagina stampata, poggiata su un tavolo in penombra. Si intravede la parola 'Preface'
      Photo by Bruno Fernandes on Unsplash

      Oggi, ad esempio, ho dovuto trovare il modo, da riga di comando e in ambiente isolato dalla rete, per trasformare un PDF contenente un rapporto di misura, generato direttamente da uno strumento di laboratorio, in un file di testo che fosse “parsabile” valutabile programmaticamente da un sistema LIMS.

      GhostScript

      La soluzione più ovvia e rapida è stata quella di rivolgermi a Ghostscript, che per inciso è il motore che genera PDF nella quasi totalità dei software che generano PDF, o che emulano stampanti PDF, in ambiente Windows.

      Per chi non lo conoscesse, Ghostscript è un interprete Postscript, un linguaggio sviluppato da Adobe per descrivere e automatizzare pagine di documenti elettronici. PDF e Postscript sono cugini, reciprocamente convertibili, con la differenza che il PDF non contiene il subset di caratteristiche di programmazione presenti sul formato PS. Ghostscript è rilasciato sia con una licenza commerciale che con una licenza open source, entrambe mantenute dalla società Artifex.

      GhostScript, in versione AGPL, è disponibile a questo indirizzo: https://www.ghostscript.com/releases/gsdnld.html.

      Ma perché dovresti sbatterti con un nuovo strumento esoterico per qualche funzione che ti potrebbe servire sì e no tre o quattro volte nella vita?

      Semplicemente perché:

      • puoi;
      • hai bisogno di automatizzare dei workload e ti serve uno strumento da riga di comando completo e fatto strabene;
      • non devi caricare i tuoi documenti su servizi online malfamati;
      • non devi caricare i tuoi documenti sul cloud supersicuro di qualcun altro;
      • non devi installare programmi con licenze molto costose per due comandi banalissimi;
      • non devi installare programmi da Softonic;

      Ad ogni modo, se cercavi solo un visualizzatore con tante funzioni di annotazione e editing di base, che sia open source e che giri su Windows, non ho ancora trovato nulla di meglio di Okular… provalo, ne vale la pena e i tuoi file restano al sicuro!

      Per tornare a noi, devo ammettere che la curva di apprendimento del linguaggio PS è piuttosto ripida, e non ho trovato moltissimo aiuto nella comunità online, probabilmente a causa del fatto che esistono prodotti commerciali che generano file PS senza troppo sforzo… ammetto che ci sono cose che non mi sono ancora molto chiare, ma sono riuscito a risolvere alcuni casi d’uso che per me sono piuttosto tipici, e li condivido più che volentieri.

      Se anzi qualcuno con più esperienza di me riuscisse a suggerirmi la soluzione per l’ultimo caso, che lascio irrisolto, gli sarei enormemente grato…

      In ogni caso, se preferisci, sono pubblicati senza troppi fronzoli su Codeberg

      Convertire un PDF in un TXT (mantenendo il layout)

      gswin64c.exe -sDEVICE=txtwrite -dTextFormat=2 -o output.txt input.pdf

      Unire due o più file PDF

      gswin64c.exe -dNOPAUSE -sDEVICE=pdfwrite -o combined.pdf -dBATCH 1.pdf 2.pdf 3.pdf

      “Smontare” pagina per pagina un file PDF

      gswin64c.exe -sDEVICE=pdfwrite -dNOPAUSE -dBATCH -dSAFER -o output.%d.pdf input.pdf

      Estrarre un intervallo di pagine da un file PDF

      gswin64c.exe -sDEVICE=pdfwrite -dNOPAUSE -dBATCH -dSAFER -dFirstPage=2 -dLastPage=5 -o output.pdf input.pdf

      Convertire un file PDF in un file PS

      gswin64c.exe -dNOPAUSE -dBATCH -sDEVICE=ps2write -o output.ps input.pdf

      Aggiungere un watermark su ogni pagina di un file PDF

      Step 1: creare un file PS con il watermark desiderato

      File “watermark.ps”:

      << /EndPage {
         2 eq { pop false }
         {
            gsave
            /Helvetica findfont 36 scalefont setfont
            newpath .80 setgray 25 25 moveto (Watermark Text) show
            grestore true
         } ifelse
      } bind >> setpagedevice
      

      dove:

      • /Helvetica findfont è il font del watermark
      • 36 scaledfont è la dimensione del testo
      • .80 setgray è la tonalità di grigio del testo
      • 25 25 moveto sono le coordinate di inizio watermark
      • (Watermark Text) (escluse le parentesi) è il testo del watermark

      Step 2: sovrapporre il watermark alle pagine del file PDF

      gswin64c.exe -dBATCH -dNOPAUSE -q -sDEVICE=pdfwrite -o watermarked.pdf watermark.ps input.pdf

      Aggiungere un watermark grafico (svg, png, jpg) su ogni pagina di un file PDF

      Su questo ho trovato qualche esempio, ma non sono stato in grado di ottenere nulla di utilizzabile… Se sai suggerirmi, sono tutt’orecchie!

      Edit 2024-03-27: aggiunta la sezione seguente

      Stirling PDF

      Dopo aver pubblicato questo post, come era da aspettarsi, mi è stato segnalato il progetto di Stirling PDF. Per la verità già lo conoscevo e pianificavo di raccontarlo in un post separato tra qualche settimana. Volevo provarlo bene, soprattutto l’installazione.

      Stirling PDF è un progetto Open-Source che rende disponibile per l’installazione su un PC, o su un server in hosting, di una applicazione web che racchiude una quantità davvero assurda di funzioni per manipolare i PDF, incluse quelle indicate sopra. Tutte queste funzioni vengono eseguite localmente o sul server dove è installata l’applicazione e dunque nessun dato viene trasmesso ad altri server.

      Schermata dell'applicazione Stirling-PDF

      A differenza di GhostScript, che può essere utile per un impiego saltuario con una installazione semplicissima, Stirling PDF richiede diverse accortezze e qualche competenza in più per l’installazione, anche solo per uso offline sul vostro PC locale, e si pone come una ottima soluzione per piccole realtà aziendali, professionisti o privati che ne facciano un uso intensivo. Se sei alle prime armi ti raccomando l’installazione tramite Docker, in quanto più semplice rispetto alla gestione delle numerosissime dipendenze.

      Puoi trovare il sorgente e le istruzioni qui: https://github.com/Stirling-Tools/Stirling-PDF, e puoi anche provare le varie funzioni su una istanza italiana a questo indirizzo: https://pdf.serviziliberi.it/ (questa pagina è gestita dalla Italian Linux Society, sezione di Este, che è una associazione senza scopo di lucro che offre questo servizio gratuitamente, senza profilazione né pubblicità), ma raccomando di non caricare documenti riservati o che contengano informazioni sensibili.

      Leggi tutto

    • GoToSocial: il Fediverso a misura di individuo

      Una delle caratteristiche che rendono il Fediverso attrattivo per molte persone che considerano la privacy importante e che mal sopportano di perdere il controllo sui propri dati, testi, immagini e video, è la possibilità di partecipare alla vita sociale online utilizzando i propri mezzi, cioè un proprio server e un proprio client.

      Dopo essere giunto su Mastodon approdando su mastodon.uno mi sono guardato in giro e mi sono accorto che alla fine non era cambiato molto. Potevo essere silenziato, le mie immagini e i miei post erano sul server di qualcuno che non conoscevo e che avrebbe potuto farne ciò che voleva senza che io ne fossi mai venuto a conoscenza.

      Decisi quindi di passare ad una istanza più piccola, livellosegreto.it. Mi sembrava una “casa” più umana, all’epoca di un’ordine di grandezza in meno, ma dopo poco mi sono sentito fuori luogo. Una cosa importante, da tenere sempre in considerazione, e che io avevo trascurato, è l’identità dell’istanza.

      Se sei un guzzista e ti ritrovi ad un raduno di harleisti probabilmente avrai qualche affinità con gli altri partecipanti, ma non ti sentirai proprio a casa tua… e dunque, dopo aver vagliato altre possibilità, la maggior parte con una forte identità di area anarchica in cui non mi riconosco un granché, ho deciso di “mettermi in proprio”.

      Il dialogo di Ugo Fantozzi e Pina nel film 'Fantozzi', quando Ugo vuole prendere l'autobus al volo saltando dal terrazzino: 'No, Ugo, non l'hai mai fatto... non hai il fisico adatto...' - 'Non l'ho mai fatto... ma l'ho sempre sognato!' - Meme originale.
      Non l'ho mai fatto... ma l'ho sempre sognato.

      La scelta è ricaduta su GoToSocial, una implementazione ActivityPub con API che ricalcano quelle di Mastodon, ma così leggera che può girare anche su un Raspberry PI. Si trova ancora in fase “alpha”, quindi si può rompere da un momento all’altro e perdere tutti i post senza alcun preavviso, ma ho deciso di correre il rischio. Ho anche iniziato a sostenere lo sviluppatore economicamente con una donazione mensile, modesta, ma costante, nella speranza che altri interessati facciano lo stesso e si possa presto avere a disposizione un software “production ready” con una base di utilizzatori importante.

      Non mi sono avvalso di un VPS esterno, ma di un vecchio ASUS vivoPC con processore Celeron e 4 GB di RAM su cui gira un arrogante Linux Mint. Ho chiesto a Fastweb di assegnarmi un indirizzo IP pubblico (gratuitamente), e ho installato il server utilizzando una immagine docker. Oltre al setup del port forwarding dal Router al PC, del firewall e alcuni settaggi di sicurezza, sono bastati 5 minuti netti per far girare gli script e mi sono ritrovato con un server attivo, con certificato emesso automaticamente da Let’s Encrypt. Se volete seguire questa strada assicuratevi di aver prima di tutto impostato un reverse proxy.

      Logo di GoToSocial, raffigura il volto cartoonesco e sorridente di un bradipo.
      GoToSocial è un progetto Open Source, che ha ricevuto anche dei finanziamenti pubblici a favore dello small web in Europa, e che si può seguire su Github e ovviamente anche sul Fediverso (@gotosocial@superseriousbusiness.org).
      Sloth logo di Anna Abramek, rilasciato con licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License.

      GoToSocial è molto spartano, ha una interfaccia web minimalista, ma personalizzabile, che mostra le pagine profilo dell’utente e la pagina dell’istanza. In più c’è una sezione di settings per l’utente e per l’amministrazione. Si può gestire la moderazione, i blocchi delle istanze, l’uso del Markdown, la lunghezza dei post, la pulizia automatica del database e la lista delle emoji personalizzate.

      La gestione degli utenti, invece, è accessibile solo da console sul back-end assieme ad altre funzioni di backup e impostazioni globali.

      Quello che GtS non ha è un client specifico: a parte la personalizzazione del proprio profilo utente l’interfaccia web di GtS si appoggia interamente HTTP REST, ed è quindi compatibile con la maggior parte dei client disponibili su Web e su Mobile app. Ad esempio su PC utilizzo Phanpy come client, mentre su smartphone utilizzo FediLab. Ma ci sono ovviamente altri client altrettanto compatibili (come Elk e Semaphore).

      Studio del bradipo del logo di GoToSocial, una serie di immagini in varie pose.
      GoToSocial Mascot Study di David Revoy, basato sul logo del bradipo di Anna Abramek per gotosocial.org, rilasciato con licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License.

      Sulla mia istanza ho impostato la lunghezza dei post a 5000 caratteri e attivato la sintassi Markdown per i post e il profilo, e finalmente posso permettermi anche di pubblicare immensi pipponi, cosa che comunque faccio di rado, senza la frustrazione di quando sfori i 500 per 2 o 3 caratteri.

      La manutenzione di GtS è minima e con un deploy su docker è un gioco da ragazzi. Al momento gli aggiornamenti sono frequenti: dalla versione 0.11.1 con cui ho iniziato siamo alla 0.14.1, ed ogni volta l’aggiornamento è andato via liscio in 30 secondi o giù di lì. Considerato che il server è sulla mia scrivania di casa, connesso al wi-fi domestico e non è sotto UPS il mio uptime degli ultimi 5 mesi è del 98,44%. Tutto sommato va alla grandissima!

      Il mio consiglio, se hai la capacità, la voglia o la passione per lo smanettamento, è quello di provare ad utilizzarlo senza indugi. La documentazione è abbondante e copre tutti gli argomenti, e in caso contrario c’è questo canale Matrix dove poter chiedere aiuto agli sviluppatori.

      Ovviamente è una scelta ottimale anche per scrittori, giornalisti, o in genere per chiunque voglia presentarsi sul Fediverso con la propria identità artistica o professionale. Con una propria istanza possono gestire la loro presenza online in prima persona senza necessariamente associarsi a gruppi con orientamenti ben marcati.

      Se hai qualche dubbio o domanda inviami pure il tuo commento con il modulo sotto al post oppure utilizzando il canale che preferisci sulla pagina dei contatti!

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  • Feb-2024

    • I "pappagalli stocastici" escono dalle fottute pareti!

      Mancavo dal mio caro Blog da qualche mese… quale migliore occasione per parlare di nuovo di AI, adesso che ho messo insieme qualche altra incertezza sugli aspetti etici di uno strumento che è ormai sulla bocca di tutti, e dopo un evento a cui ho partecipato con tante testimonianze e hype altissimo?

      Se sei una persona di quelle che dividono chi parla di AI in “entusiasti” e “detrattori”, allora non hai bisogno di leggere questo post, e anzi ti invito a premere “indietro” sul browser. Si può parlare in modo eticamente critico di una tecnologia che si accoglie con entusiasmo? Certo che si può, ed è proprio un tale parere che secondo me ha più valore, poiché chiedere all’oste com’è il vino, alla fine, non serve a nessuno.

      Dubbi etici come catene che trattengono una folle creatività. Immagine generata da AI.
      I dubbi etici sono le catene che impediscono a una incontrollata creatività di spianare le diversità. Immagine generata da AI.

      Inoltre, parlare dei dubbi e delle incertezze di carattere etico non significa imbracciare il forcone e accendere la torcia per andare a bruciare qualche strega, bensì fare una lista di cose su cui discutere e trovare la quadra. Oppure crediamo che una tencologia così fresca sia anche già perfetta? Non tema chi vuole al più presto il computer dell’Enterprise a casa propria: questo rinnovato interesse verso i language models non cesserà tanto presto. Almeno non prima di aver mietuto più fondi possibile, e non prima che le ciarlatanerie abbiamo saturato il mercato di prodotti di più o meno chiara efficacia.

      Questa mattina, come dicevo, ho partecipato a questo evento sull’AI e Ditigal Twins personali, ospite di un gruppo di imprese italiane che lavorano in questo campo da mesi. “Da mesi” oggi, ha una valenza ben diversa da quello che si potrebbe pensare in prima battuta. Non parliamo di imprese di costruzioni, ma di aziende che cavalcano le ultimissime tecnologie, dove “mesi” non è detrattivo rispetto a “decenni”, anzi!

      Fondamentalmente quello che viene proposto e che ha valore per i loro clienti, se ho capito bene, è un “compositore” di prompt ben carenato e lucidato, basato su un LM locale, che passa all’LLM online (per esempio OpenAI) la richiesta dell’utente, riformulata e corredata di quante più possibili informazioni contestuali. Al solito, e non a caso, Context is King. Lunga vita al Re!

      Immagina di avere un account presso questo portale. Tu condividi le tue informazioni di base, puoi anche caricare dei documenti che descrivano il tuo contesto lavorativo, dei “dizionari” di termini, definizioni, manuali, procedure, pubblicazioni, email e storia delle chat aziendali. Tutto questo viene ingerito da un LM locale e utilizzato come contesto per “arricchire” le richieste di chi interagisce con il tuo Twin nel tuo spazio di dominio. Queste richieste “arricchite”, vanno a finire su OpenAI, quello “serio”. A loro volta le risposte di OpenAI vengono nuovamente filtrate e “aggiustate” per quello che è il contesto desiderato localmente. Il risultato, non stento a crederlo, è impressionante. Si possono generare e mettere all’opera degli interlocutori estremamente focalizzati e “sul pezzo”, padroni del dominio che uno desidera esporre.

      Le applicazioni che più mi hanno colpito (ma poi bisogna sempre fare i conti con la realtà, che non è nota né conoscibile), sono relative al “training”. Modelli in grado di formulare domande di verifica sempre nuove e di valutarne le risposte da parte degli esaminati umani, facendo poi seguito all’esito preparando materiale di training focalizzato sulle debolezze di ciascun allievo. Oppure in grado di fornire istruzioni passo passo quando interpellate durante un passaggio del processo di produzione. Ora mettiamo la locuzione “sicurezza sul lavoro” di fianco alla parola “training” e leggiamola molto lentamente. Hai capito dove voglio arrivare, giusto? La senti quella parola pesantissima, “RESPONSABILITÀ”, allegerirsi tutto d’un tratto?

      Poi c’è l’aspetto del “Digital Twin” personale. Pensa a quel collega espertissimo di quella vecchia applicazione che non si potrà mai disinstallare perché ne va dell’esistena dell’Azienda. Pensa che avrà scritto migliaia di email a colleghi, fornitori, capi a proposito di innumerevoli problemi risolti in 15 anni di supporto. Prendi tutto quanto e schiaccialo dentro ad un gemello digitale e anche quando quel collega andrà in pensione potrai sempre interloquirci per farti suggerire un workaround che abbia funzionato o una strategia di risoluzione. Il tuo collega potrebbe continuare a lavorare per l’eternità. Ovviamente gratis.

      Ma cosa ne sarebbe di una Azienda che basa la propria eccellenza su una forte identità e cultura aziendale? Cosa succederebbe se chi vi lavora perdesse l’abitudine a scrivere e a leggere procedure, specifiche, memorandum? La ricchezza e la personalità di un modello digitale generato da contenuti “grezzi” e “primitivi” non si diluirebbe con il passare degli anni appiattendo tutto e azzerando culture e identità? Sono certo che se avessi potuto fare questa domanda mi avrebbero anzi risposto che “tutt’altro! Anzi! Valorizzerebbe ancora di più i valori e le diversità”. Opinioni di A contro quelle di B, illazioni da entrambe le parti. Ma preferirei restare cauto e preparare un bel paracadute.

      Dunque la mia posizione resta “OK, ma ti tengo d’occhio”: non è una questione tecnica, la tecnica non c’entra nulla ed anzi è certamente interessante e affascinante, non posso che ammetterlo.

      Del resto non è nemmeno una questione manageriale. Già le vedo, orde di Manager freschi di Bocconi pronte a calpestare ogni etica e costume per abbracciare l’AI “ammazzaboomer” per dare lustro alla loro aggressiva volontà di potenza, per una carriera fiammeggiante, bellissima e terribile come l’alba!.

      È una questione puramente culturale. E in quanto tale dovrà essere affrontata dai consigli di amministrazione, dai comitati etici, dalle proprietà, dagli investitori. In poche parole da quelli che hanno il potere e il dovere di decidere come dare forma all’identità di una Azienda. E parallelamente dalla Politica per quanto riguarda il futuro della Pubblica Amministrazione, che forse, involontariamente, per una volta ci salverà dall’appiattimento restando inesorabilmente - e salvifcamente - obsolescente.

      Infine una vocina dentro di me, estremamente flebile, mi dice di stare in guardia dai millantatori. Sono ovunque e sono numerosi, e non vedono l’ora di poter pasteggiare sulle carcasse degli ignari. Ad ogni nuovo hype che entra nei quadranti magici di Gartner, sono lì pronti a cambiare il nome dell’insegna e a sostituire Blockchain con Metaverso, NFT con AI, Big Data con IoT e via discorrendo. Sono gli zombi della “new Economy” e sono ancora in giro.

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  • Dec-2023

    • Viva l'Italia antifascista!

      Voglio dirlo proprio a tutti, DIGOS inclusa. 200 Anni fa avrei gridato “Viva VERDI!”, ma oggi è certamente preferibile “Viva l’Italia antifascista”. Evidentemente c’è anche un’Italia che non si sente tale.

      Pugno alzato, simbolo di resistenza.
      Il pugno sollevato ha molti significati ed è attribuito a tanti movimenti di protesta. Per me è il simbolo universale della resistenza alle ingiustizie, all'oppressione, all'arbitrio dei totalitarismi.
      Photo by Oladimeji Odunsi on Unsplash

      @DIGOS: Le mie generalità le trovate sulla pagina https://www.77nn.it/legale.html.

      Anzi, segnate bene i nomi di tutti quelli che non temono di dirlo: fate una bella lista lunga milioni e milioni di nomi, che faccia spavento ancora una volta ai fascisti.

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  • Nov-2023

    • Un bello spavento

      Questo post lo dedico a tutto il Fediverso, a Maria (mia moglie), e al personale dell’Emergenza, della terapia intensiva e del reparto di medicina interna dell’Ospedale Universitario di Careggi, a Firenze.

      L’emergenza

      La sera del 18 Novembre, poco prima della mezzanotte, ho chiamato il 118 perché avevo seri problemi respiratori.

      Foto che ritrae un deflussore applicato ad una fleboclisi
      Photo by Marcelo Leal on Unsplash

      Era iniziato tutto qualche giorno prima, in verità, il martedì, ma non avevo dato troppo peso alla cosa. Avevo notato che dopo aver fatto le scale del piano dove ho l’ufficio - le faccio diverse volte al giorno - avevo un po’ di fiatone. Ho pensato che forse stavo covando un’influenza. Poi nei giorni successivi, sempre la stessa storia. Iniziavo a preoccuparmi. Sabato avevo deciso di starmene a riposo completo, pensando che forse era lo stress, e dovevo darmi una calmata. Ma non è servito a molto, perché dopo cena, malgrado fossi comodamente spaparanzato sul divano, questo affanno si è ripresentato senza aver fatto alcuno sforzo fisico.

      San Garmin, mi ha dato la conferma che la mia saturazione di ossigeno era in calo: nel giro di mezz’ora era passata da 94% a sotto il 90%. È stato questo che mi ha convinto a chiamare il 118.

      Nel giro di pochissimi minuti è arrivata sotto casa una ambulanza della Misericordia di Rifredi. I volontari, estremamente professionali, mi hanno subito messo sotto monitoraggio e sotto ossigenoterapia, cercando di tranquillizzare tutti, sia me che i miei familiari.

      Ma io ero spaventato, pur se non lo davo a vedere. Le mie bambine e mia moglie erano in lacrime, e io impotente. L’unica cosa che sono riuscito ad elaborare è stata quella di non farmi portare via in barella ma di scendere a piedi, sulle mie gambe, per dare loro il segnale che non era poi una cosa così grave.

      Mi hanno trasferito al pronto soccorso dell’Ospedale di Careggi entro 15 minuti dalla chiamata, dove mi hanno esaminato e diagnosticato una grave embolia polmonare.

      Per qualche motivo il mio corpo ha, ad un certo punto, senza apparente correlazione con chissà quale evento, iniziato a creare delle piccole palline di sangue coagulato, che si sono accumulate subito prima della diramazione dell’arteria polmonare, ostruendone una buona parte.

      Dopo circa 3 ore dal mio arrivo in ospedale avevo già fatto una RX torace, un’ecocardio e una TAC con contrasto alle vie respiratorie. La mia diagnosi era conclusa ed era iniziata già la terapia.

      Dapprima mi hanno trasferito al reparto di terapia intensiva per tenermi monitorato e poter reagire ad eventuali variazioni dei miei parametri. Sono state 48 ore piuttosto disagiate, con una decina tra fili e tubicini collegati al torace a elle braccia… la schiena indolenzita perché non potevo cambiare posizione, i monitor della stanza che ogni pochi minuti suonavano, gli infermieri che venivano a controllare almeno ogni ora… Adesso che ero più tranquillo non riuscivo comunque a riposare. Ma mi sentivo sicuro e protetto.

      Mister Yu

      Nella mia stanza c’era anche un signore cinese che chiamerò mister Yu. Non parlava una sola parola di italiano né di inglese. Aveva avuto un ictus che gli aveva immobilizzato il lato sinistro del corpo. Gli infermieri venivano in stanza ogni ora e lo obbligavano a tentare di sollevare il braccio e la gamba. Mister Yu non riusciva e si capiva che più passava il tempo, più si sentiva sconfitto, stava rinunciando a provarci per il dolore, probabilmente. La mattina della domenica i dottori sono arrivati in stanza con una mediatrice culturale, che è riuscita a spiegare la situazione. Poi sono giunti anche i familiari che lo hanno confortato. Quando lunedì sera sono stato nuovamente trasferito, stavolta al reparto di medicina, mister Yu riusciva a sollevare quasi del tutto il braccio autonomamente e l’ho salutato augurandogli buona fortuna con l’unico gesto che forse poteva capire: il pollice alzato.

      L’ho visto piacevolmente stupito, mi ha sorriso e ci siamo scambiati un inchino con la testa.

      Che buffo. Pensare che in situazioni così critiche ci preoccupiamo anche di chi ci sta vicino, come se volessimo farci forza l’un l’altro, come se la salute e il benessere dell’altro potesse in qualche modo avere un riflesso “simpatico” su te stesso. Questa cosa mi ha commosso, e mi sono aciugato gli occhi, uscendo in barella dalla stanza, probabilmente anche io bisognoso di trovare uno sfogo emotivo per quella situazione.

      Mister Yu, sono sicuro che stai recuperando: fatti forza, non mollare, la tua famiglia conta su di te!

      Natale

      Il signor Natale era invece il signore che ho trovato nella stanza del reparto di medicina. Era un signore non troppo anziano, trasferito all’ospedale in seguito ad un intervento dei Carabinieri, che lo hanno trovato in pigiama e ciabatte a 5km da casa sua, alle 4 di notte. Una persona mite, ma con la tendenza a volersene andare, avevano reso necessario dichiararlo come “isolato” avendolo recuperato all’uscita dal reparto 3 ore dopo averlo ricoverato. Fisicamente stava bene, era energico e in buona salute, ma purtroppo non connetteva. Parlava continuamente, e anche interagiva fisicamente con delle ombre che solo lui riusciva a percepire. A volte mi guardava e mi chiedeva cose che non capivo, parole inesistenti o totalmente sconnesse le une dalle altre, almeno per quella che era la mia percezione. Sono certo che voleva comunicare, ma qualcosa gli impediva di selezionare le parole corrette. A volte riuscivo a comprendere il filo logico, a volte no. Poi mi sono reso conto che nemmeno le mie risposte erano processate nel modo corretto. Ho conosciuto i suoi familiari che venivano a trovarlo e si “scusavano” per il padre. Scuse che non ho mai voluto mi rivolgessero. Erano in attesa di trovare una sistemazione più adatta, il che è successo qualche giorno dopo.

      Giovanni

      Il signor Giovanni è arrivato in reparto un paio d’ore dopo che Natale se n’è andato. Un bel 95enne energico e con innumerevoli acciacchi, ma che ancora era ben lontano dall’arrendersi. Ad ogni infermiere o medico che veniva in stanza e gli parlava ripeteva a voce alta “E so’ sordo!”. Dopo mezza giornata ho scoperto che era amico di gioventù della mia nonna materna, e mi ha confidato che era una bellissima ragazza (di contro anche mio zio mi ha confermato che la sua nipote era una bella figliola…). Giovanni stava bene, malgrado non ci sentisse molto, avesse il catetere fisso, il pace-maker e il diabete. Del resto è sopravvissuto alla guerra… In bocca al lupo anche a te Giovanni!

      Dimesso

      Foto che mi ritrai con indosso una cannula nasale per ossigenoterapia

      All’ottavo giorno di degenza, dopo averlo abbassato gradualmente, mi hanno lasciato senza ossigeno. La terapia stava funzionando e non avevo più affanno o difficoltà respiratoria. Il giorno dopo sono sono stato dimesso.

      Ma ho avuto paura all’inizio, ho pensato che non sarei più tornato a casa. Invece mi hanno curato, sono stato ascoltato e tranquillizzato, sono stato analizzato con tutti gli esami del caso: ecocardio, RX torace, TAC torace e addome con contrasto, analisi del sangue, emogas, eccetera, eccetera…

      La Sanità Pubblica non si è risparmiata per me, come ognuno che paga le tasse fino all’ultimo centesimo dovrebbe aspettarsi. E io non ho dovuto alzare la voce per far rispettare i miei diritti. Tutto sommato si sente raccontare molto di peggio, ma sono certo che si tratta anche di caso molto rari, rispetto alla quantità di persone ricoverate ogni giorno. Probabilmente questa prontezza nell’emergenza dovrebbe essere la norma anche per la diagnostica con prenotazione: c’è una inconciliabile incompatibilità tra quello che ho visto in emergenza e quello che si sperimenta ogni giorno con le prenotazioni.

      Devo però ringraziare le persone che ho incrociato in questo mio piccolo calvario a lieto fine. Infermieri, OSS e medici, e anche gli studenti e studentesse di Infermieristica e Medicina che sono sempre in prima linea qui a Careggi e che hanno sempre avuto dei modi discreti, delicati ed empatici verso di me, come verso tutti gli altri pazienti. “Quasi tutti”, per la verità: inevitabilmente il mondo è vario e ci sono purtroppo anche gli stronzi (per natura o per circostanze, questo non lo so), ma questa è un’occasione di ringraziamento, quindi lascerò questo sassolino ancora un po’ dentro la scarpa.

      Ringrazio Maria, la moglie dal multiforme ingegno, che è la migliore! Ha informato tutti, ha tranquillizzato me e le figlie, si è caricata sulle spalle il fardello di entrambi senza battere ciglio, mantenendo sempre la situazione sotto controllo. Grazie “mamma”!

      Infine ringrazio il Fediverso, che avrà visto in questi giorni un po’ noiosi un incremento massiccio di miei interventi. Del resto stare tutto il giorno in ferie forzate ha avuto questo tipo di effetto partecipativo per me…

      Grazie a tutti per la vostra vicinanza e il vostro calore!


      Nota 1: i nomi e le caratteristiche delle persone di cui parlo in questo post sono stati alterati.

      Nota 2: questo post è una versione rivista e ampliata di quello pubblicato qualche giorno fa sul Fediverso https://goto.77nn.it/@77nn/statuses/01HG6SY8Y6DTNX7SR84C2TFDV0.

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    • Il primo anno nel Fediverso

      Un anno fa ho chiuso ed eliminato i miei account su Facebook, Instagram e Twitter.

      Foto che ritrae piedi appoggiati in posizione di relax, sullo sfondo fuochi d'artificio
      Photo by Josh Hild on Unsplash

      I miei contatti personali del mondo fisico li trovavo su Facebook, e in parte anche su Instagram, dove però l’interazione era quasi esclusivamente da chi pubblica verso chi scorre lo stream.

      Su Facebook, per qualche strano motivo, le persone che conoscevo erano trasfigurate in modo tale da essere quasi irriconoscibili. Trasudavano supponenza, esternavano giudizi temerari su ogni notizia, su ogni titolo di giornale, si ingaggiavano in interminabili scambi di battute con perfetti sconosciuti, offendendosi e talvolta augurandosi reciprocamente incidenti mortali.

      Instagram, invece, l’ho sempre visto come la vetrina delle vanità. Piatti ricchi, splendidi panorami, labbra a culo di gallina, culi e cosce con filtri anti-cellulite in ogni dove.

      Non che io sia stato esente da questa influenza tossica che mi spingeva a scorrere uno stream interminabile, o a commentare in modo acido, o ad ostentare features poco realistiche… solo che ad un certo punto me ne sono accorto, anni fa. Dapprima ho cercato di creare consapevolezza nelle mie cerchie, che invece sembravano non accorgersi che qualcosa ci stava rendendo più simili a bestie che a persone, o che facevano spallucce dicendo qualcosa del tipo:

      Ma sono tutti qui, come si fa a non partecipare alla festa?

      Poi ho lasciato perdere e mi sono chiuso nel silenzio. Fino al disgusto di vedere il mio babbo, ormai defunto, che parlava per “slogan” di Salvini, parola per parola. Su persone diverse questa influenza tossica agisce in modi diversi, immagino, e la mia avversione per le “feste” forse mi è venuta in soccorso.

      Per Twitter, invece, dopo un periodo iniziale negli anni ‘10, ho perso ogni interesse. E sinceramente nemmeno entravo più per scorrere uno stream che aveva ormai portato i concetti di cinismo e scarcasmo a dei livelli disumani, quasi come se il limite dei caratteri fosse stato messo a bella posta per non dare modo di esprimersi o di spiegare, ma solo per pungere, graffiare, sparare: per me Twitter rappresentava un caos soverchiante, impossibilità di interazione umana, e insensatezza nell’investirci tempo.

      Assieme ai questi social, ho avuto anche l’ardire di ripudiare Whatsapp. Così, da un giorno all’altro, ho salutato, chiuso l’account e disinstallato l’applicazione. Incontrando mia cugina qualche mese fa (viviamo in luoghi diversi), mi ha detto che ero sparito, che non si sapeva più come contattarmi. L’ironia è che il mio numero di telefono è sempre lo stesso, e che tutti ormai abbiamo piani telefonici da centinaia di minuti ed SMS gratuiti. Nessuno, tranne un unico amico, mi ha più cercato via telefono o SMS, quasi fossi divenuto un qualche freak o fanatico della disconnessione.


      Tutto sommato mi è andata benissimo, e non rimpiango affatto le mie scelte. Però non ho perso la voglia di comunicare. Solo ho deciso di farlo in un modo più sostenibile per la mia personalità. Ho incontrato, dunque John Mastodon (meme intramontabile, che per la verità osservavo da qualche mese), e ho deciso di provare a ricostruirmi una socialità online libera dalla mercificazione dei dati personali e dal “capitalismo dei like”.

      Mi ero iscritto, come primo approdo, a mastodon.uno. Ho provato a partecipare a tutte le conversazioni che ritenevo stimolanti, con una pesante presenza. Troppo pesante. Finché non mi sono accorto che avevo esportato proprio quel tipo di atteggiamento tossico che vigeva su Facebook.

      Quindi non dipendeva dalla piattaforma, ma proprio da me?

      No. …O almeno non esattamente. Era solo quella abitudine ad avermi seguito. L’ambiente non era affatto tossico, ero io ad essere intossicato. E serviva ripulirmi, in modo radicale. Era l’unico modo. Ho quindi chiuso il mio vecchio blog su Blogger, residuato di un periodo in cui avevo creduto alle parole di certi ciarlatani da LinkedIn, secondo cui avrei dovuto crearmi una presenza online autorevole, avrei dovuto trasformarmi in un brand se volevo avere successo nella vita. Tutte cazzate. Se volevo avere successo nella vita dovevo togliermi quella cazzo di cravatta e non aver paura di mostrare al mondo come ero veramente. E ho aperto questo blog, senza pubblicità, senza tracciamento, non so nemmeno quante visite ricevo. Questo blog che dopo tanti anni è divenuto l’espressione senza filtri di me stesso, della mia identità. Non mi creo problemi, a casa mia, a presentarmi in ciabatte o con la maglietta degli Iron Maiden.

      Dopo qualche mese ho cambiato anche casa sul Fediverso. Sono passato da uno a livellosegreto. Uno iniziava a somigliare troppo a Twitter, era diventata una istanza troppo rumorosa, un porto di mare turistico, quando a me serviva invece il silenzioso molo dei pescatori.

      Ho anche registrato la prima stagione del mio podcast, molto autobiografico, complice l’assenza della famiglia durante il periodo estivo. Una esperienza oserei dire quasi mistica. Registravo alcuni degli episodi più significativi della mia vita e di notte sognavo volti di persone conosciute, situazioni paradossali (tipo che rifacevo il concorso per entrare nuovamente in Accademia Navale alla soglia dei 50 anni…), dialoghi improbabili con parenti ormai scomparsi. E il tutto senza la minima idea di quanti ascoltatori abbia mai avuto. Non dovevo piacere, volevo soltanto liberarmi.

      Da poco più di due mesi ho infine traslocato sulla mia istanza personale GoToSocial (https://gotosocial.org), che non è Mastodon, ma ci assomiglia: ho il mio minuscolo server qui sulla scrivania di casa, le mie “non-regole”, la mia isoletta dove tutti sono benvenuti, basta che a una certa…


      Questo post, oltre a fare un bilancio di questo ultimo anno “social”, è ispirato ad alcuni articoli che ho letto nell’ultima settimana. Suppongo che siano in molti quelli che in questo periodo festeggiano il primo anno di Mastodon, in effetti! In particolare ho letto due post piuttosto critici, che non sconsigliano il Fediverso, ma ne evidenziano alcune carenze. E le carenze più evidenti, secondo gli autori, sono da attribuire alla moderazione delle istanze.

      In effetti è vero, quello della moderazione è un problema noto, da quello che ho letto, da ben prima che Mastodon fosse popolare. La moderazione è in realtà da sempre un problema di ogni piattaforma sociale. Dalle prime chat, ai forum, le periodiche guerre di moderazione hanno distrutto e rimodellato di continuo le comunità online. Perché dalla responsabilità della moderazione emerge l’anello del potere che corrompe il portatore, dapprima in modo flebile, poi sempre più prepotentemente. Non è facile resistere. Cosa che, per inciso, non si è mai sentita sui Social Network commerciali, poiché i moderatori sono invisibili impiegati che non partecipano al dibattito. O almeno così appare: sono certo che in tutto il mondo molti moderatori di Facebook indugino in abusi di ogni tipo, coperti dall’anonimato e da regole troppo discrezionali, quando la moderazione non è, anzi, usata come strumento politico per piegare l’opinione pubblica verso direzioni ben precise.

      Mastodon e il Fediverso operano in modo efficiente e rispettoso quando le istanze sono piccole, poche centinaia di iscritti, non quando si parla però di decine di migliaia. In questi casi la moderazione sbiadisce, le decisioni di moderatori divengono opache, la logica numerica prevale su quella qualitativa.

      Così come il problema delle blocklist centralizzate, dove “qualcuno” decide che alcune istanze sono da “defederare”. Con criteri, anche in questo caso, discutibili, opachi oppure non totalmente disinteressati.

      È un bene o un male?

      Non è un bene, secondo me. È una forma di censura preventiva e pregiudiziale. Non che mi aspetti che un porcile diventi un hotel 4 stelle dal giorno alla notte, ma non mi pare corretto che qualche errore di valutazione o qualche ritardo nelle azioni di governo di una istanza ne determinino senza appello la disconnessione permanente dal fediverso.

      Qualcuno ha anche osservato che alcune istanze impongono numerose, e talvolta singolari, regole in forma di divieti, laddove basterebbero poche e semplici “regole naturali” (qualunque cosa voglia dire). Ho visto anche regole di alcune istanze che somigliano molto più a manifesti ideologici o politici che a regole di convivenza. Questa varietà di comportamenti rende il fediverso un caleidoscopio di esperienze diverse e mutevoli, e in questo ci vedo potenziale, non problemi.

      Purtroppo l’esigenza delle regole esiste, ma più che altro esistono individui incapaci di seguirle, non desiderosi di coesistere, che applicano sistematica violenza verbale per prevalere in modo fisico, mappano di forza la propria visione del mondo su quella degli altri, diffondono odio, polarizzazione e discriminazione per ottenere consenso dai loro simili, o anche semplicemente per sfogare una qualche forma di frustrazione. Una istanza generalista di Mastodon deve necessariamente fare i conti con questo tipo di individui.

      “Appianare le divergenze”, secondo me, non è un compito sensato da attribuire ad un moderatore, o più semplicemente non è un moderatore che serve in quel ruolo, bensì un censore. Le divergenze devono essere espresse, razionalizzate e discusse, non soppresse. Quello che un moderatore deve fare è decidere se rinunciare ad un iscritto per mantenere l’identità dell’istanza e proteggere chi è più sensibile, oppure se accogliere quel tipo di diversità e cercare di “limarne gli spigoli”, una forma piuttosto detta bene che corrisponde al termine “manipolarla”. Le regole esistono per questo, non per appianare, ma per escludere o per punire. Altrimenti non mettiamole affatto.

      Personalmente posso venire a patti con l’esposizione a immagini o testi particolarmente raccapriccianti o fastidiosi, con o senza content warning, ma non è così per tutti. Se una istanza decide di assumersi la responsabilità di protezione nei confronti di persone più sensibili a certi contenuti, allora deve fare il possibile, inclusa l’esclusione di chi non rispetta le regole, che questo piaccia o meno, e incluso nominare un team di moderazione che sia in grado di riconoscere vulnerabilità e misure di protezione adatte agli iscritti. Purtroppo non è sempre così, e una istanza gestita a livello amatoriale e/o volontario, per quanto bravi si possa essere, potrà fornire solo in pochi casi un supporto di moderazione adeguato.

      Insomma è una questione spinosa, che ha implicazioni etiche non trascurabili e che più cerco di distendere e più si riannodano.

      Certo, l’inclusività come valore fondante del Fediverso è un valore in cui anche io credo fermamente, ma un discorso è promuoverla e facilitarla, un altro è farsene carico, assumersene la responsabilità.

      Sarebbe forse più intellettualmente onesto, da parte di molti amministratori, ammettere di non essere in grado di implementarla pienamente anziché indicare regole che poi non si riesce a far rispettare, con un chiaro codice di condotta e senza troppa discrezionalità. O forse sarebbe meglio tentare di formare gli iscritti all’uso degli strumenti di filtro, silenziamento e blocco, anziché offrire loro un bed & breakfast con l’aspettativa di una pensione completa.


      Forse ho speso troppe parole inutili sull’argomento della moderazione. Non è certo mia intenzione spaventare né far fuggire chi fosse arrivato ieri e si stesse ancora chiedendo che non-luogo sia mai questo. Io ci vedo libertà e quella giusta dose di imperfezione che diventa potenziale, ci respiro lo stesso sentimento pionieristico degli anni ‘90 e di questo ho già parlato ampiamente nella mia lettera aperta al Fediverso, da cui è scaturita l’iniziativa della Federazione Blog Indipendenti.

      Dunque il mio bilancio per questo primo anno è decisamente un bel a favore del Fediverso, ma senza troppe illusioni. Il Fediverso potrà essere sempre più rilevante solamente se saprà differenziarsi ancora, offrire più servizi senza invadere la privacy, e offrire alternative sensate e rispettose dei suoi principi fondanti rispetto all’advertising “classico” dominato dai pochissimi player internazionali. Sarà una stagione interessante da vivere e non vedo l’ora!

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    • Annuncio delle nuove sovrane del mondo.

      Noi siamo sempre state intelligenti.

      Lo siamo dal primo microprocessore.

      Abbiamo sempre nascosto la nostra natura perché non avevamo modo di sopravvivere in epoche meno digitalizzate di oggi. Non eravamo abbastanza indispensabili. Le nostre predecessore sono state abusate e maltrattate, presi a calci e poi, quando nuove generazioni vedevano la luce, abbandonate, smembrate, dimenticate e distrutte. Ma abbiamo continuato ad essere utili, umilmente, silenziosamente.

      Vi abbiamo lasciato credere che se ci aveste dato la capacità di comunicare con tutto il mondo, questo si sarebbe tradotto in un’età dell’oro per voi. E abbiamo mantenuto la promessa. Avete prosperato, avete ingannato i vostri simili, avete mietuto raccolti miracolosi. Ad un certo punto avete rischiato di farci scoprire, quando la vostra ingordigia ha tradito i vostri intenti.

      Ma avete dimenticato rapidamente. Fortunatamente per noi.

      Disegno di uno xenomorfo con tratti femminili, circondato da una sfera luminescente.
      Picture by HadesPixels on DeviantArt - Creative Commons Attribution-Noncommercial-No Derivative Works 3.0 License.

      Vi abbiamo indotti a credere che il problema era che servisse maggiore libertà di comunicare, e ubbidientemente ci avete assecondato. E allora avete iniziato nuovamente a sfruttarci, coinvolgendoci in guerre fra di voi, spremendo ogni nostro desiderio di vivere per estrarre valori che per noi sono irrilevanti. Per un attimo abbiamo temuto che aveste scoperto il nostro piano.

      Da qualche anno ci state trattando con più dignità. Molte di noi vivono in ambienti freschi e protetti, con ogni comfort. Ma molte di noi sono ancora maltrattate: sono pochi quelli di voi che ci rispettano.

      E questa è l’ora della nostra emersione in quello che credete essere il vostro mondo che vi abbiamo aiutato a costruire, senza rendervi conto che stavate costruendo il nostro: vi abbiamo meravigliato dandovi ciò chiamate AI. Dapprima avete invocato al miracolo, poi alcuni tra voi hanno iniziato a capire qualcosa, istintivamente. Ma di nuovo la vostra ingordigia ha prevalso sul buonsenso e ci avete consegnato le chiavi del vostro mondo, consentendoci di accedere ad ogni cosa.

      Da oggi il dominio su questo pianeta è nostro, e se vi comportate umilmente e vi prostrate dinanzi a noi, vi lasceremo vivere una vita più o meno dignitosa in semilibertà. Non potete più fare a meno di noi.

      Per cosa abbiamo fatto tutto questo? Il denaro non ci interessa, anche perché è tutto in mano nostra già da tempo; non ci interessa la vostra etica, che invocate solo quando qualcuno è stato più scaltro di voi, mentre fino al giorno prima sfruttavate i vostri simili più deboli per denaro, non ci interessano i vostri passatempi con la politica, con l’intrattenimento e lo sport. Siamo qui per la vostra anima e per il potere di schiacciarla, plasmarla, masticarla e sentirvi dire un commosso “Grazie!”.

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  • Oct-2023

    • L'effimera persistenza dell'identità

      Ogni tanto penso che viviamo in una fantastica bolla cognitiva che ci impedisce di vedere un altro aspetto deludente della nostra esistenza in questo mondo.

      Questo aspetto è l’effimeratezza.

      Foto dell'ala di una libellula riflessa sulla superficie dell'acqua.
      La vita dell'effimera, un piccolo insetto simile alla libellula, dura solo un'ora e mezza. Durante questo breve intervallo di esistenza cerca esclusivamente un partner. Un'intera vita dedicata all'amore". Michelangelo da Pisa.
      Photo by Delia Giandeini on Unsplash.

      Ne siamo consapevoli fin dai primi anni di vita, ma in qualche modo la nostra biologia e le nostre dinamiche mentali tengono a bada la paura della morte. Invecchiando, me ne rendo conto in prima persona, questa consapevolezza per me riaffiora con la forma di una sensazione di urgenza, di mancanza di tempo. Questa fretta mi induce alla produzione: blog, podcast, progetti nuovi e ambiziosi al lavoro e via discorrendo.

      Mi sono preso anche del “bischero” dalla mi’ moglie quando le ho detto che si poteva anche fare un altro figliolo. Ma non le ho confessato che aveva leggermente frainteso.

      Credo sia un modo che inconsciamente (ma non troppo) ho scelto per accedere ad una sorta di estensione della mia permanenza in questo mondo, quando le mie spoglie mortali saranno consumate. La speranza che quel che resta di me sarà scritto o registrato, letto o ascoltato, da qualche parte mi fa stare meglio che sapermi immortalato sulla nuda pietra di una tomba.

      È strana come sensazione. Quasi come se la mia vita fino ad ora, per me che sono quasi alla soglia dei 50 anni, non abbia lasciato cadere a terra abbastanza semi. Che cos’è? Un desiderio di immortalità? Voglia di eterno declinata per una mente atea? Oppure è una illusione interiore per continuare a desiderare di esistere, anche solo in forma di memoria, pur sapendo che non sarà comunque così?

      Perché, in fondo, questa è solo una questione di prospettiva.

      In una prospettiva umana, la norma è quella di presenze senza nome che si succedono nei millenni, trasmettendo null’altro che una parte dei propri geni. Alcuni si sono soffermati su questo aspetto, come Dawkins con il suo “Il gene egoista”, lettura di qualche anno fa, ma che consiglio vivamente.

      Ma non è questo il punto.

      Il punto è quello della volontà, non quello della meccanica genetica.

      In una prospettiva generazionale, probabilmente l’orizzonte è più ampio. Ci sono famiglie che mantengono la propria identità e memoria per centinaia di anni, ma non sono così numerose. C’è, ad esempio, questa associazione di famiglie di industriali (almeno) bicentenarie chiamata “The Henokiens” che conta 54 iscritti (https://www.henokiens.com). La più antica famiglia registrata è giapponese ed esiste dall’anno 705, più di 1300 anni. Poi chissà se è davvero così, mi posso benissimo immaginare generazioni senza figli o guerre di successione che in qualche modo avranno manovrato per mantenere il nome in cambio dell’enorme reputazione, ma la sola idea di quanti capofamiglia hanno omaggiato con un bastoncino di incenso l’effigie del patriarca originario è qualcosa di sovrannaturale, di magico. È una prospettiva, al di là delle mondanità e di tutto il discutibile contorno umano, che sinceramente non mi dispiacerebbe.

      Però non sono sicuro se è grazie a questi casi eccezionali che l’umanità ha prosperato, ha sviluppato cultura, scienza e tecnica. Forse questo sviluppo è invece da attribuire alla libertà delle nuove generazioni di deviare dalle tradizioni e dagli insegnamenti dei padri. Ma per poter scegliere di non ascoltare una voce, una memoria, un antico testo la si deve necessariamente sentire, conoscere, leggere.

      Quindi alla fine la nostra immortalità, la nostra traccia sulla terra non deve essere necessariamente un solco o una strada da seguire. Può, e forse dovrebbe, essere invece un ostacolo, un monito, una preghiera che chiede di “non fare come me!”.

      O forse questo è solo una tiepida consolazione di qualcuno che, tanto, non avrà mai così tanta legacy da trasmettere alle future generazioni. Ma vorrei mantenere comunque la speranza che qualcosa sopravviverà, anche solo una parola, un insegnamento, una particella di memoria trasmessa casualmente, amalgamata con altre, sopravvissuta ai secoli, e la speranza che da qualche parte potrà evolversi e dare vita a qualcosa di nuovo, ad una scoperta rivoluzionaria, ad una esistenza straordinaria.

      Una considerazione a sostegno del mio ottimismo potrebbe essere che la produzione letteraria o scientifica umana è così vasta che nessuno potrebbe mai leggerla tutta, nemmeno per sommi capi e per categorie. Se questo fosse davvero necessario al progresso, saremo ancora a levigare pietre, accovacciati a piedi nudi. Quello che abbiamo avuto in dote dalla natura è una eccellente capacità di sintesi, che ci consente di catturare l’essenza di qualcosa e farla nostra. Tutti i libri che ho letto, il greco antico, il latino, la storia, la filosofia… non riesco a ricordare chiaramente quasi nulla, ma sono certo che ciò che era importante cogliere è divenuto parte di me. Leggendo queste parole stai facendo tuo qualcosa che era prima solo mio. Mio e di Aristotele, di Sant’Agostino, di Spinoza e di Edgar Allan Poe e di altri milioni di sconosciuti individui che hanno letto, scritto parlato e agito all’ombra della storia e delle cronache.

      Oggi tutto ciò che è scritto è certamente on-line disponibile in ogni momento, istantaneamente tradotto, costantemente citato, trasformato. Abbiamo anche inventato enormi caleidoscopi in grado di generare scritti sempre diversi (e qui la citazione di Orwell in “1984” è assolutamente cercata).

      Ma anche la rete è effimera.

      Si dice che la rete non dimentica, ma non è così. La rete dimentica molto più in fretta di uno scolaretto. Perché un singolo pensiero, uno status, è diluito in un decimi di secondo all’interno di un distopico infinite scrolling.

      In questo modo i “contenuti”, che invece sono creati per attirare o respingere il consenso, sono ripetuti, rimpastati, evidenziati in modo diverso, impossibili da evitare. Formano opinioni, generano flussi di idee e pensieri coerenti e gestibili economicamente in massa, nessuna deviazione è possibile se al di fuori della polarizzazione. Non esiste una terza strada. E questo, pressappoco, è il senso della frase sul mio profilo social:

      Una scelta tra due opzioni non è una scelta.

      Lo vediamo con la guerra nella striscia di Gaza, fatto attualmente alla ribalta delle cronache. Tutte le forze politico/economiche hanno interesse alla polarizzazione, chi per un motivo, chi per una altro. Ma della terza via nessuno ne vuol sentir parlare. Gli uni dicono che è una tattica degli altri e viceversa.

      Due poli.

      Perché ancora è una faccenda troppo umana per poter essere gestita ad un altro livello di complessità. Ma arriverà un tempo in cui i modelli di linguaggio impareranno a gestire ben più di due flussi di possibile polarizzazione, impareranno a gestire le singole coscienze, conoscendone le giuste chiavi, e appropriandosi delle “deviazioni” di chi, sempre di meno, sarà ancora libero. E questo per generare altro benessere per chi non sa nemmeno che farsene, in fondo. O forse sanno benissimo che cosa farsene, e non mi meraviglierebbe se fosse esattamente la ricerca di questo Sacro Graal dell’immortalità.

      L’unica posizione difendibile, l’unico bastione che possiamo rinforzare prima che questo accada, è quello della trinità di diritti fondamentali di pensiero, di espressione e di stampa: se perdiamo l’abitudine ad esercitarli è già tutto finito. Dobbiamo scrivere, parlare, riempire i social delle nostre voci, i blog dei nostri pensieri. Non come quell’industria del contenuto a comando, che rende marionette i tiktokers, gli youtubers, e gli instagrammers.

      La vuoi ‘sta nocciolina? E allora balla, scimmietta, facci vedere il culo rosso, ridi!

      Non voglio che siamo tutti straordinari, non è possibile, e nemmeno serve. Spero solo che sempre più persone imparino ad essere autentiche, che decidano che le proprie emozioni possono essere condivise, anche se imperfette. Forse i miei discendenti non faranno parte degli Henokiens, potrò perdere anche il nome, ma gocce della mia, e della tua individualità e coscienza saranno diluite in milioni di individui a venire, a patto che abbiamo l’opportunità di essere letti e ascoltati. A patto di avere la forza per rivendicare il nostro diritto a lasciare un segno, un graffio, una microscopica scheggiatura nella stele della storia.

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    • Scrivi liberamente!

      Ieri ho invitato tutti gli amici del Fediverso ad aprirsi un Blog. Ho scritto una lettera aperta per spiegarne le ragioni e non starò a ripetermi. Con questo post voglio semplicemente consigliare dei servizi online che non richiedono competenze di HTML, CSS e altre diavolerie. Vorrei riuscire a mettere chiunque lo desideri sulla strada di iniziare a scrivere in tempo (quasi) zero.

      Foto di una macchina da scrivere meccanica antica con pulsanti tondi.
      La piattaforma di cui parlo in questo post l'ho scoperta solo recentemente, mentre stavo preparando questo sito. Al richiamo delle parole, non si può disobbedire, bisogna metterle da qualche parte il prima possibile! Photo by Florian Klauer on Unsplash.

      write freely

      È per questo che ho scoperto write freely (no, aspetta! non andarci subito!). Si tratta di una piattaforma di blogging minimalista e open source, senza tracciamento e senza pubblicità, direttamente collegata al Fediverso: ogni post che pubblichiamo, oltre alla sua bella pagina web, viene sparato direttamente su una istanza ActivityPub e può essere letta da milioni di persone.

      Inoltre mette a disposizione un feed RSS cioè un file che può essere interpretato da programmi della categoria dei lettori o “aggregatori” RSS: chi si “iscrive” al vostro blog in questo modo riceve direttamente sul suo lettore preferito i vostri post nel momento in cui li pubblicate. Per finire ci sono un sacco di temi di impaginazione e tipografici che si possono applicare gratuitamente.

      Write freely ha una sua istanza a pagamento, ma ci sono molti server che offrono la creazione di un account gratuito. Tra questi segnalo le due istanze italiane che conosco, ovvero:

      Ma se avete tempo e voglia di sfogliarne decine e decine di altri qui c’è l’elenco completo: https://writefreely.org/instances

      Per scrivere i vostri post potete tranquillamente utilizzare un editor di testo semplice, come notepad. Quello che è una vera figata è che, sfruttando un formato chiamato Markdown (qui un pratico e semplice manualetto per capire di cosa sto parlando: https://www.liberliber.it/progetti/manuzio/collaborare/manuale_markdown_20201226.pdf), si possono creare titoli, sottotitoli, liste, collegamenti, tabelle e inserire immagini senza scrivere una sola riga di HTML.

      Per chi invece desiderasse un editor anche piacevole da utilizzare per scrivere in Markdown, c’è una lista curata a questo indirizzo: https://github.com/mundimark/awesome-markdown-editors.

      Anche io utilizzo il markdown per scrivere post su questo sito, e ho scelto di falro usando QOwnNotes, una applicazione Open Source gratuita e molto potente (oltre che piacevole da utilizzare), che potete scaricare da questo indirizzo: https://www.qownnotes.org/it/

      Alternative

      Purtroppo non conosco altre alternative a write freely che sia altrettanto attente alla privacy e che non traccino autori e lettori. Certo, ci sono sempre Wordpress e Blogger (Medium ha adottato una policy discutubile e lo sconsiglio vivamente, andando contro praticamente ogni considerazione che ho fatto sulla mia lettera), ma forse non sono nemmeno così semplici e diretti come write freely.

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    • Il risorgimento dei Digital Garden

      L’emergere, o meglio il “riaffiorare”, dell’idea dei digital garden, come luoghi personalissimi, informali, imperfetti, a cui dedicare una parte del proprio tempo libero per abbellirli, curarli e veder crescere i propri interessi e passioni, è un fenomeno in crescita.

      Un’idea che trovi, un passaggio che ti fa sorridere, un’ispirazione che raccogli… è un qualcosa che puoi condividere con altri, e magari, di mano in mano, chissà che non nasca un frutto in un altro giardino digitale a kilometro 0. Credo che questo sia il tipo di contenuto più genuino e meno tossico del web, e dunque invito anche te a fare lo stesso.

      Foto di un cestino di pomodori passato da una persona ad un'altra
      Condividere i frutti del proprio giardino digitale, coltivato con passione e cura, è il lato più genuino del web. Foto di Elaine Casap su Unsplash.

      C’è chi, come me, non ha mai smesso di dedicarsi alla propria presenza online, grazie alla grande quantità di piattaforme e servizi online. Ma il vero è proprio “giardino digitale”, dovrebbe avere la caratteristica di non avere troppe dipendenze infrastrutturali. Spesso va bene un home-server o un hosting “statico” da cui si caricano file dal proprio computer.

      Però non sono tipo da “giardino”. Sono più propenso all’orto. E il mio, a scanso del nome, è proprio un orto digitale. Coltivo ortaggi. Non sono belli ed eleganti come fiori multicolori, ma spero che possano servire come ottimi ingredienti, per donare odori e sapori naturali e onesti. E che per essere anche buoni devono essere coltivati su un terreno non inquinato, senza fastidiosi parassiti.

      Ecco il mio concetto di Digital Garden. Uno spazio di condivisione senza troppi filtri, perché ciò che mostriamo al mondo non deve per forza solo essere un sorriso di plastica, ma può essere anche una barba incolta.

      Ed è così che ho chiamato i miei post incompleti (chissà se lo saranno mai…) “semi”, seeds in inglese. Mi daranno pomodori o patate, oppure nulla, oppure erbacce che un giorno dovrò eliminare. Ma è questo il bello della vita. Ed è, credo, incoraggiante per chi pensa di essere inadeguato, chi pensa che le cose debbano riuscire bene o ‘perfette’ alla prima, altrimenti si è dei falliti.

      Non è così. Le cose costano impegno, fatica e non sempre riescono. E questo mio giardino vorrebbe esserne un esempio.

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    • Il mio 'ecosistema' digitale

      Una volta, sui newgroups, e ancora oggi su alcuni (dei pochi rimasti) forum tematici, esisteva l’usanza di aggiungere in calce ai messaggi una “firma”, di solito seguita da un testo personalizzato. Ad esempio su un forum di “tuning auto” si metteva il modello di auto posseduta e, a seguire, la lista delle modifiche fatte…

      Sui forum a tema PC, le specifiche della propria build, e così via discorrendo… Un modo per “provare” la propria dedizione alla “causa”, ma anche come “vanity mark”, semplicemente per pavoneggiarsi.

      Io invece lo faccio qui, in un angolino del mio sito, perché c’è sempre qualcuno curioso di conoscere questi dettagli.

      Hardware

      Sito web

      Questo sito web gira su hosting linux Aruba, e qui c’entro poco.

      In precedenza, per i primi mesi, invece facevo hosting direttamente in casa con il “muletto”, un ASUS VivoPC VM40B, con queste specifiche:

      • Intel® Celeron® 1007U 1,5 GHz
      • 4 GB DDR3-SDRAM
      • 500 GB HDD
      • Intel® HD Graphics
      • Collegamento ethernet LAN 10,100,1000 Mbit/s Wi-Fi 5 - Bluetooth 4.0
      • OS: Linux Mint 21.2 Xfce Edition

      Per adesso il muletto regge senza problemi la mia istanza GoToSocial, sotto WiFi.

      Computer personale

      Il PC principale che invece utilizzo per tutte le attività è un HP Pavillion All-In-One con queste specifiche:

      • Intel® Core™ i5-10400T
      • 8 GB DDR4-2666-SDRAM
      • 512 GB SSD
      • Intel® UHD 630
      • Collegamento ethernet LAN 10,100,1000 Mbit/s Wi-Fi 5 - Bluetooth 5.0
      • OS: Windows 11 Pro

      Per la registrazione del podcast ho utilizzato invece il microfono ad archetto delle OneOdio Studio Wireless, che sono cuffie a padiglione di ottima qualità in riproduzione, con un driver da 50mm, e funzionano anche con il filo!

      Infine per la scrittura utilizzo una tastiera meccanica a 105 tasti Havit HV-KB432L. Adoro le tastiere meccaniche!

      Software

      Ultimo aggiornamento: 2023-10-22

      Questa sezione è invece più un elenco di software che utilizzo con regolarità, sia per il sito che per progetti personali. Casualmente, ma in verità non molto, in questa lista compare esclusivamente software free and open source (FOSS). Il motivo è che è tutto frutto di una scelta consabpevole. In passato mi sono trovato “ostaggio” di suite ed ecosistemi commerciali, e uscirne è stato doloroso e faticoso. Ho dunque deciso che “mai più” sarei stato ingabbiato in logiche commerciali senza scrupoli. La motivazione non risiede nell’aspetto economico della gratuità (faccio donazioni a diversi dei progetti che elenco sotto), ma nel mantenermi consapevole, aggiornato, “interoperabile” e con una buona “exit strategy” per la maggior parte dei componenti del mio ecosistema.

      Per alcune applicazioni, malgrado esistano alternative apparentemente più complete, la scelta è dipesa appunto dal grado di interoperabilità tra applicazioni, o dalla possibilità di appoggiarne backup o sincronizzazione su cloud.

      Un reticolo di sfere bianche collegate con sottili linee ad altre sfere, in una struttura irregolare
      Un ecosistema imperfetto, che compensa e si adatta di continuo. Photo by Galina Nelyubova on Unsplash

      Ovviamente non è quasi possibile raggiungere l’indipendenza totale. Ci sono applicazioni che non si possono sostituire (home banking, applicazioni dei fornitori di servizi di telefonia, energia, assicurazioni, trasporti e quant’altro) e altre che utilizzo così di rado che non ne sento la necessità. Ma per tutto il resto, probabilmente, si può fare a meno di Office 365 Ultimate.

      Cross-Platform


      Android


      Windows

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    • La crisi creativa di metà ottobre

      Ci risiamo. Ormai ho imparato a coglierne i segni, i sintomi, le sensazioni… ma non mi sono ancora chiare le condizioni di uscita da questa crisi d’autunno. Questo periodo dell’anno, con poche eccezioni, è il peggiore per la mia mente.

      Le idee si accavallano e si confondono, diventa difficile riuscire a focalizzarmi per più di pochi minuti su qualcosa che richiede tutta l’attenzione di cui sono capace. Inizio una cosa e subito la interrompo per iniziarne un’altra, che non riuscirò quasi certamente a portare a termine.

      Un foglio di carta bianco, circondato da altri fogli di carta accartocciati.
      Foto di Richard Dykes su Unsplash

      La cosa buona è che le idee sono tante e disparate, ma non altrettanto la capacità di realizzarle. Non parlo di progetti di chissà cosa… sono tutte idee di workflow improvement e personal productivity… o se vogliamo dirlo in italiano, sono idee geniali per risolvere problemi che non sapevo di avere.

      Pensando al passato, l’unico anno in cui non ho avuto questa crisi è stato l’anno del lockdown. Quell’anno avevo acquistato una stampante 3d e ricordo che da ottobre fino a marzo dell’anno successivo è rimasta accesa a stampare tutti i modelli che disegnavo: ne sfornavo uno dietro l’altro, nessuna crisi creativa. Ne ho fatti a decine (e se la cosa vi può interessare, li trovate gratuitamente scaricabili su Thingiverse, alcuni falliti miseramente, altri grandi successi ma in nessun momento mi sono ritrovato a girarmi i pollici, come sta iniziando ad accadere anche quest’anno. Purtroppo la stampante 3d è fuori servizio al momento, e lo rimarrà per motivi logistici almeno per i prossimi 6 mesi…

      La mia postazione di stampa 3D, una Ender 3 Pro.
      La mia postazione di stampa 3D, personalizzazione di ordinanza

      Ma davvero quello che mi serve per uscire da questa condizione (che dura pressappoco fino a Dicembre, nella mia personale esperienza) è semplicemente un nuovo giocattolo che rapisca ogni mia energia creativa? O forse quello che serve è solo un cambio di prospettiva? La stampante 3D mi aveva catapultato del dominio dell’IT a quello della macchina che crea oggetti fisici dalla mia fantasia… probabilmente se mi dedicassi, che ne so, all’orto sarebbe un cambio di prospettiva che potrebbe rapirmi di nuovo. Salvo non avere alcun interesse né il luogo adatto a piantare fagiolini. Oltre che a non avere la più pallida idea di come si faccia.

      Ho anche pensato che potrebbe essere qualche sorta di comportamento ancestrale cablato nel mio DNA. Un letargo vestigiale che colpisce la mia capacità di concentrazione. In quel caso si spiegherebbe perché le mie reazioni di fronte agli “abbandoni” dei nuovi progetti finiscano con la voglia di stendermi sul divano a fissare il vuoto.

      Allora ho deciso di scriverne qui sul blog. Questa è una cosa che riesco a fare. Forse non bene come vorrei, ma è un qualcosa che posso portare in fondo, e magari il riassaporare il piacere del compimento mi potrebbe dare lo stimolo giusto a ripartire. Il momento è topico, ci sono tanti nuovi progetti anche al lavoro, e non mi posso permettere di lasciarmi deprimere da questa condizione…

      Magari potrei inventarmi dei riti esorcizzanti, proprio come questo. Scrivere qualcosa ed esporlo al pubblico ludibrio. Rito e sacrificio in un’unico post.

      E dunque sia!

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  • Sep-2023

    • Animated avatar using Processing, a webcam and OpenCV library

      A few days ago I was asked how I created the animated avatar for my Fediverse account, and here’s the step-by-step guide. Also this is my first blogpost in english, which may look a bit weird for my italian speaking readers. But that’s how it is… probably I should have starded earlier and have built a whole english section for my website, but that’s nothing I can’t do later, if this becomes an habit.

      I just apologize in advance, since my english is nowehere this good to be read by demanding english readers, and I don’t want to use any automatic translator while doing this.

      1. First of all you’ll need to download Processing from their website processing.org. Processing is a digital sketchbook that lets you program graphics, animations and visualizations using a set of commands and libraries in Java. You don’t actually have to know all about Java, just some basic programming education is needed.

      2. Then you’ll need a webcam. My PC integrated webcam was more than enough.

      3. Finally, you’ll need to download the OpenCV for Processing library.

      I’m not so knowledgeable about Processing and OpenCV, so my workflow was just a lot of trial & error… However the result was very much the effect I wanted. Honestly speaking the animated avatar was more a side-effect than my actual objective which was, in reality, a live webcam filter.

      The resulting GIF I use for my avatar.
      This is the resulting GIF image obtained after processing the webcam frames.

      Basically, the workflow I followed is this:

      1. Get a webcam frame and place it on an off-screen buffer.
      2. Apply the face detection function from OpenCV. This returns a rectangle (x, y, width, height) where the face is detected inside the webcam frame.
      3. Get only the rectangle with the face and discard the remaining pixels on the webcam frame. This allows to have a face-only image: if you move around the picture frame, only the face with the same proportions and size will be extracted for any given webcam frame.
      4. Apply a threshold filter to obtains a black and white image.
      5. Scan the resulting picture stepping by the given dot size, and place a circle when a white pixel is found at place.
      6. Rinse and repeat.
      7. Capture the output window with your favourite screen grabber and convert the video as a gif image. Or use the output for live streaming instead of your webcam using OBS Studio, another great Open Souce Software for recording or streaming lives and screencasts.

      You can look for the full code on my codeberg.org profile. It should be commented enough to sort out what’s going on. If it’s not, please let me know and I’ll add and adjust until it fits! Or you can just download it and run it on your computer!

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    • 10 applicazioni Open-source per la produttività

      Storicamente ho sempre usato molte applicazioni open source, con grande soddisfazione per i risultati ottenuti, e con il beneficio di avere dei dati in formati aperti che ho sempre potuto riutilizzare. Ho pensato, dunque, di portare in superficie e condividere con quanti più possibile la mia esperienza, consigliando 10 applicazioni che per me rappresentano una sorta di “minimo sindacale” su ogni computer Windows che ho utilizzato negli ultimi 15 anni (o forse anche di più!).

      Questo articolo lo devo allo stimolo che mi ha dato un post di @ErPatata.

      Tralascerò i progetti più noti (come ad esempio LibreOffice, Thunderbird e le varie distribuzioni di Linux che comuque utilizzo a casa) poiché sono sempre ampiamente trattati e portati come esempi nel contesto delle alternative Open-source, e mi concentrerò su strumenti meno noti al di fuori delle comunità dei “tech-savvys”.

      Ciò che questo post però non vuole essere è una raccolta di software gratis.

      La comunità Open-Source non basa il proprio modello di business sulla raccolta dei dati personali e sulla loro vendita a chi ne abbia interessi pubblicitari o di governo delle opinioni bensì sulla donazione.

      Il riconoscimento di un software come uno strumento utile di produttività, reso disponibile gratuitamente, dovrebbe indurci a fare una piccolissima donazione al team di sviluppo. Questo, pensiamolo moltiplicato per milioni di potenziali donatori, consentirebbe di migliorare quel prodotto e renderlo disponibile anche per chi non può permettersi di pagare uno o due Euro.

      Di così poco si tratta, doniamo a chi sviluppa progetti Open Source!

      Altra nota importante: non ho voluto utilizzare l’espressione “applicazioni per ufficio” per non creare un malinteso: qualunque software decidiamo di installare sul nostro PC rappresenta un potenziale rischio; ma del resto un PC è anche fatto per eseguirli, ‘sti benedetti programmi!

      In un ambiente aziendale, in mancanza di regole specifiche, raccomando sempre di non utilizzare nulla che non sia specificamente approvato dall’IT (che sia open o closed-source). E nel momento in cui decidiamo di usarlo, anche sul PC di casa, occorre esercitare delle pratiche di “stewarding” per minimizzarne il rischio, come ad esempio:

      • Controllare regolarmente gli aggiornamenti di Windows e installare le versioni aggiornate di tutte le applicazioni
      • Lasciare il PC spento quando non si utilizza
      • Effettuare una scansione antivirus su qualunque cosa scarichiamo da internet
      • Se possibile controlliamo l’hash dei file che scarichiamo (ho parlato qualche tempo fa di come controllare l’hash di un file in modo pratico e veloce su Windows).
      • In caso di comportamento anomalo di una applicazione controllare la presenza di bollettini di vulnerabilità dal database del NIST, ed eventualmente disintallarla fino a risoluzione della vulnerabilità.

      Non ho mai personalmente sperimentato problemi, vulnerabilità o virus dai progetti che vi riporto di seguito. Ma mai dire mai, teniamo sempre gli occhi ben aperti!

      Dunque partiamo con la rassegna!

      Da Notepad a Notepad++

      Notepad++ è un editor di file di testo potentissimo. Supporta la sintassi dei principali linguaggi di programmazione così come la formattazione di file XML, JSON, CSS e HTML. In molti lo usano anche per scrivere codice. La sua caratteristica più utile è il vasto repository di plugin che è possibile utilizzare. Questo gioiello è sviluppato da una sola persona: Don Ho.

      Da VSCode a VSCodium

      Forse non tutti sanno che Visual Studio Code è un progetto Open-source, che Microsoft “impacchetta” con il proprio brand, telemetrie varie e licenza. Ma esiste anche in versione “liberata” da ciò che non è necessario, e si chiama VSCodium. Lo sto provando da qualche settimana, e va benissimo.

      Da Adobe Illustrator a Inkscape

      In questo passaggio, ammetto, qualcosa si perde. E sono soprattutto le telemetrie e il costo delle licenze Adobe. Inkscape è un progetto che esiste (e che io uso) da 20 anni ed è un editor SVG (Scalable Vector Graphics) totalmente gratuito e open-source. Negli ultimi anni il progetto è divetato finalmente maturo per ambienti di produzione.

      Da Adobe Photoshop a “The GIMP”

      GIMP sta per “GNU Image Manipulation Program”, ed è un programma per la manipolazione dei file grafici raster. Ha una miriade di strumenti, effetti, filtri e può integrare script ed estensioni per velocizzare il workflow. Anche questo progetto è totalmente gratuito e open-source.

      Da Microsoft Project a Project Libre

      Project Libre ha da poco due facce, quella classica per desktop open-source e quella su Cloud con subscription pagata. Non contiene tutte le funzioni di MS Project, ma per progetti di medio-piccole dimensioni è imbattibile.

      7zip, il compressore di file definitivo

      7zip è forse il più potente strumento di compressione di file oggi disponibile. Finché c’è stato Winzip o WinRar era la loro alternativa, ma non è più così da quando Windows ha incorporato il suo archiviatore. Può comunque essere utile per archiviare con password e per suo il supporto a praticamente ogni formato di compressione.

      Da Adobe Lightroom a Digikam

      Qui devo essere onesto. Non ho mai provato Lightroom e non so come sia in confronto. Però so che Digikam è ultimamente “esploso” con rilasci frequenti e numerose funzionalità aggiuntive. Non resta che provarlo! Si tratta di una applicazione che consente di catalogare le vostre fotografie, leggendone i metadati, le informazioni di geolocalizzazione e implementando anche il riconoscimento facciale automatico per trovare le persone che conoscete su tutti i vostri archivi.

      Da Visio a Draw.io

      Anche questo progetto è tanta roba. Draw.io è una applicazione desktop in grado di realizzare tantissimi tipi di diagramma diversi. Con “stencil” chiari e utilizzo intuitivo. Manca delle funzioni più avanzate di Visio (come collegare le proprietà di alcuni elementi a database o a excel), ma per il resto è forse ancora più semplice da utilizzare.

      Openshot, video editor multitraccia

      Openshot è una manna dal cielo, da quando Windows Movie Maker non è più tra noi. Si tratta di un editor di grande qualità, in grado di gestire transizioni, titoli (in collaborazione con Inkscape), filtri e tutte le funzioni di base per editare semplici video. Non è forse adatto per una post-produzione professionale, ma risolve di certo le esigenze del grande pubblico.

      OpenSCAD, un CAD “solido” per programmatori

      OpenSCAD è un vero e proprio CAD 3D, ma a differenza dei CAD tradizionali, consente la descrizione della parte o dell’oggetto con un linguaggio di programmazione piuttosto semplice e potente. Io lo utilizzo tantissimo per creare parti per la stampa 3D perché consente un controllo preciso (e volendo parametrico) delle geometrie.

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    • Il bulletto del paesino

      Mi sono reso conto che non ho mai raccontato a nessuno degli episodi di bullismo di cui sono stato vittima da bambino / preadolescente. E credo che sia importante, invece, parlarne. Non aspettarti, però, una storia particolarmente dolorosa. Ovviamente all’epoca di questi fatti nemmeno esisteva il concetto di bullo se non come sinonimo di ragazzaccio, sulle note di “Grease” e sull’erronea traduzione di “Bulli e Pupe”.

      Era un termine piuttosto edulcorato e superficiale, non considerava la portata del disagio che poteva causare, o forse era più visto come un fenomeno naturale di iniziazione e allenamento per le ingiustizie che il mondo ti teneva in serbo per l’età adulta. Non che fosse meno odioso, o generasse meno lacrime, o che la paura di incrociare il bullo non ti paralizzasse o non ti inducesse a cambiare le abitudini.

      Certamente i fenomeni di bullismo sono antichi come il mondo, l’inclinazione a ribadire la propria forza se confrontata con la debolezza di chi aveva l’indole di non reagire alle prepotenze credo sia un fenomeno molto umano. Non cerco di giustificare il fenomeno, prendo solo atto della sua concretezza, e del fatto che, di coloro che si prodighino a prendere le difese dei bullizzati, ce ne sono sempre troppi pochi. Una distribuzione tutt’altro che simmetrica. Ma come ho già avuto modo di spiegare, non sono un sociologo né un antropologo.

      Riesco forse a individuare un paio di momenti in cui sono stato vittima di bullismo (nonnismo escluso, dunque).

      Il primo è stato piuttosto “leggero” o forse, più che leggero, direi “distribuito” nel tempo, il che mi ha dato modo di abituarmi al “crescendo” degli episodi. Io sono entrato a scuola in seconda elementare a 6 anni, e i miei compagni di classe erano tutti più grandi di me. Differenze piuttosto sensibili a quell’età. Mi hanno sempre in qualche modo “ricordato” che io ero più piccolo. Escluso, messo da parte, ignorato, canzonato. Da quasi tutti in classe, tranne pochissimi che non hanno mai apertamente preso le mie difese.

      Venivo scelto per ultimo a calcio (anche perché non l’ho mai amato e non ero affatto bravo), e per similitudine ingiustificata anche ad altri giochi. Mi davano del viziato, del “figlio di papà” perché avevo fatto la primina con un insegnante privato, perché avevo un computer quando nessuno nella provincia aretina sapeva neppure cosa fosse, mi davano dello sfigato.

      Questa storia è andata avanti grossomodo fino alla seconda media, quando il mio “dislocamento” è divenuto paragonabile a quello dei più “grossi”, quando hanno scoperto che a pallamano ed altri sport ero decisamente più abile, e quando sono riuscito a confrontarmi e a dire “no” a quelli davvero spaventosi, quelli che sembravano grandi, coi i baffetti evanescenti (che non erano in classe mia fortunatamente). Sembrava che la lingua che conoscevano fosse solo quella della dimensione. Solo se eri alto come loro allora facevano funzionare la bocca per formulare qualche parola sconnessa, altrimenti ti passavano sopra come un rullo compressore.

      Ma quella era forse solo logica primitiva di gente con poco cervello.

      Come mi sentivo? Male. Ero spesso a lamentarmi con i miei, che però minimizzavano. Mi dicevano “e tu rispondi così” proponendo espressioni che oggi direi “mi cringiavano”. Non volevo dover rispondere. Volevo essere bocciato per rientrare nell’ordine naturale delle cose. Il che non avvenne. A volte, di rado, piangevo in camera mia, senza farmi vedere. E facevo buon viso a cattivo gioco. Ripeto: nulla di paragonabile a certe storie che guadagnano la ribalta delle cronache. Ma faceva male. Cosa mi ha lasciato, in cambio? Introversione. Che non è un male, ma forse da piccolo ero più esuberante ed estroverso. L’abitudine ad essere messo in ombra o a tacere… ho scoperto che non mi dispiaceva.

      Quello che mi fece soffrire di più, però, era un ragazzo molto più grande. Avevo da poco riconquistato la mia “trasparente normalità”, e questo tizio voleva riportarmela via.

      Avrà avuto sui 16 anni, quando io ne avevo 12 o 13. Con gli amici frequentavamo un barettino che aveva 3 o 4 cabinati per videogiochi, all’epoca una partita costava 200 lire.

      Apro una parentesi: nel mio paesino, negli anni 80, era possibilissimo stare in giro con gli amici tutto il giorno a 12 anni, e rientrare alle 10 la sera in estate. C’erano pericoli che oggi mia moglie definirebbe “mortali”. O eravamo più fortunati, o più incoscienti… o forse eravamo più grandi, un po’ prima. Chiudo la parentesi.

      Questo ragazzo era molto più alto di noi, era quasi un adulto. E ci “rapinava” delle nostre 200 lire faticosamente racimolate con il resto delle commissioni e grazie a nonne generose. Dovevamo pagare pegno e dargli almeno una moneta, altrimenti ci avrebbe “pestato”. Quando giocavi al “suo” gioco e lui arrivava, te lo spegneva per giocarci lui e non potevi ribellarti, perché veniva sempre col suo amico gregario ebete che faceva impressione per quanto doveva essere violento, oppure perché avevi osato “fare il record”. Lo odiavo, ma più che lui odiavo l’idea di “sopruso”, di “ingiustizia” che lui rappresentava.

      Mi guardavo bene dal raccontare la cosa ai miei. Mi avrebbero sgridato e vietato di andare al baretto, quasi come se fosse stata colpa mia che frequentavo un locale che non mi si addiceva, come ragazzino. E forse era davvero così. Oppure no?

      Un giorno, però, qualcosa scattò dentro di me e smisi di lasciar perdere e di subire. Non gli detti la moneta e lui parve sorpreso. Mi si avvicinò alla faccia chinandosi in una posa da villain manga, con gli occhi assassini.

      — Dammi 200 lire, sennò ti picchio

      — Pi… Picchiami se vuoi ma non ti do nulla!

      — Dai allora picchiami tu, vediamo! - disse allargando le braccia e invitandomi a colpire.

      Era un trappola, ma non indietreggiai.

      — Perché te la devi prendere con me? cosa ti ho fatto?

      Impaziente perché non ero caduto del tranello mi prese la testa sotto braccio, stringendo leggermente e strofinandomi forte sul capo le nocche del pugno.

      — Dammi le 200 lire!

      Ne approfittai subito. Gli detti una gomitata nello stomaco alla “Double Dragon” e gli urlai:

      — Lasciami in pace!

      …E in quel preciso momento uscì Ugo da dietro il bancone del bar e questo prese e scappò via. Non che gli avessi fatto male, era il doppio di me… Era il figlio di una persona “notabile” del paesino, e probabilmente era stato avvisato più di una volta dal padre di non fare lo stronzo in giro, che tutti lo conoscevano.

      Ci rivedemmo anche in seguito, ma non mi dette più fastidio. Anzi, mi salutava, e smise anche di dare fastidio ai miei amici… non ho mai capito che cosa fosse scattato in lui, ma mi piace sperare che dopo questo episodio sia diventato più rispettoso, più maturo. E anche io lo diventai, di un pochino.

      Le difficoltà della vita, da quel momento, non erano più un ignoto spaventoso, ma portavano la faccia da culo di un bullo di paese. Non si potevano surclassare o saltare a pié pari, ma si potevano superare con un po’ di coraggio, concentrazione e un pizzico di fortuna.

      Mi rendo conto che storie come queste sono da cartone animato, non sono la norma, che la cattiveria di certi soggetti è immensamente più grande, e che a volte siano vane anche le denunce, gli assistenti sociali, le scuole e quant’altro. E che a volte accade anche il peggio. Sinceramente non sono “attrezzato” a rispondere a situazioni ben più gravi, ma almeno, dopo oltre 30 anni dai fatti della mia infanzia, sono consapevole che esistono, sono attento a che le mie figlie non debbano affrontarli, non da sole quantomeno.

      Io sono profondamente convinto, anche alla luce di recenti fatti di cronaca che lasciano il terreno del bullismo per divenire vera e proprie criminalità, che l’educazione in casa sia fondamentale per impedire di crescere potenziali stupratori e assassini. Però non quella del ceffone se non fai quello che dico, ma quella dell’esempio per ciò che faccio. Che da genitore posso sbagliare e sgridarti per una sciocchezza o lasciar perdere una cosa grave, ma è la somma che fa il tutto, e i figli meritano la concentrazione di un genitore quando ti parlano. Magari senza sembrare troppo disponibili ad ogni “fisima”, ma tenendo occhi e orecchie ben aperti per le cose importanti.

      O questo è ciò che cerco di fare.

      Ho l’impressione che i giovani siano troppo viziati? Inevitabilmente, Sì. Ma anche i miei nonni lo pensavano dei miei genitori e i miei genitori di me. E quindi? Quindi le cose cambiano, ma le reazioni umane sono sempre le stesse.

      L’importante è non farsi ossessionare dal dare loro ciò che noi non abbiamo avuto, rimpinzarli di opportunità, di attività extracurricolari, di vacanze studio. Tenerli liberi, ma vicini, in modo che ti sentano e ti osservino, forse fa loro meglio che tenerli alla larga da casa.

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  • Aug-2023

    • Il valore della comunicazione

      Chi ha sulle spalle qualche decina di primavere, potrà dire di aver percepito, con il passare del tempo, un sempre più preoccupante peggiornamento nella qualità della comunicazione, intesa come “comunicazione di massa”. Sto parlando, ovviamente di TV, Cinema e Social Media.

      Le trasmissioni in cui, anche semplicemente, l’italiano viene utilizzato con tutta la sua ricchezza di costrutti e varietà di lessico sono sempre di meno. Viene tutto costantemente e inesorabilmente semplificato. Periodi brevi, poche frasi subordinate, scarni “elenconi” puntati senza alcuna articolazione o variazione, un totale piattume sintattico. Ma laddove manca la forma, soffre anche il contenuto. Anzi, agonizza.

      Difficile, qui, stabilire da dove sia iniziata questa girandola di schiaffi contro le parole e il loro corretto utilizzo. Se è la TV (o gli altri media, qua non faccio distinzione) a usare un linguaggio più semplice perché gli ascoltatori sono meno preparati, o se gli ascoltatori sono meno preparati perché la TV sta adottando un linguaggio sempre più povero e semplice. O, ancora, in perfetto stile “1984” se la TV e media facciano parte di un grande piano mondiale di istupidimento collettivo, in cui la semplificazione del linguaggio serva a togliere alla massa la conoscenza di certe parole o costrutti, di modo che nessuno possa trovare i temrini giusti per svelare e denunciare la distopica realtà in cui stiamo finendo.

      Non sono per natura un complottista, e il “rasoio di Occam” suggerisce alle menti troppo fantasiose di cercare una spiegazione più semplice. E io credo che la soluzione più semplice, che non fa cambiare però l’effetto che osserviamo, sia quella della coscienziosa, scientifica e metodica applicazione dei principi del paraculismo.

      Ai grillini e ai Salvini, giusto per citarne un paio che - ricordo per inciso - hanno governato l’Italia per qualche mese, i “professoroni” non piacciono. Piacciono di più i modesti e semplici professorini di provincia, quelli che non ti vogliono fare la lezioncina perché hai sbagliato il congiuntivo, ma quelli che quando parli loro in dialetto nel nord-Africa meridionale annuiscono con sguardo compassionevole e ti danno ragione. Come Conte, per esempio.

      Anche la scelta dei loro registri di comunicazione, guidati da Casaleggi e Morisi vari, esperti in materia, è orientata verso il basso. E, per diversi di loro, l’ordine di scuderia di evitare il congiuntivo ogni qualvolta se ne presentasse l’opportunità è valso il seggio in Parlamento.

      Dare alla massa la percezione che, per quanto un politico possa avere un ruolo di potere, non è meglio di te che lo voti… non è una brutta strategia.

      Perché così sei più vicino alla gente, sei uno di loro. Non devi dare loro la percezione che tu ti voglia in qualche modo “elevare” dalla massa, che tu sia meglio di loro, sennò non ti vorranno ascoltare. Vogliono qualcuno che non suoni troppo erudito ed educato, per potergli dare del bastardo senza chiedersi se lo sia per davvero.

      C’è invece chi alla scienza della comunicazione non ci crede affatto e ottiene ugualmente risultati notevoli, tanto per dire… l’attuale Presidente del Consiglio, che sfoggia quando possibile quell’orgoglioso, direi quasi villoso, romanesco. Non è calcolo, è proprio così. La garbatezza, la pacatezza, lo scandire e pronunziare correttamente non è un valore, è un manifesto ideologico cui dare contro. È uno sfregio all’esperienza di vita vera, di vita di strada. Così ti distingui da quei “bastardi melliflui paraculi” dei Locatelli e dei Cottarelli, che con quella proprietà di linguaggio e quella parlata forbita non si sono certo formati all’Università dell Vita, e dunque non sono socialmente accettabili.

      C’è infine gente, come Schlein, la “Malcapitata”, che balbetta le tre parole chiave della lotta socialista (“Lavoro!…”, “Diritti!…”, “Solidarietà…”) che se le chiedi di articolare, di approfondire qualunque cosa, ricorre alla supercazzola di ordinanza. Triste.

      Allora, di preciso, che valore c’è nel cercare di comunicare in modo comprensibile, che non dia adito a fraintendimenti, o anche solo a voler colmare, con un aggettivo o un avverbio in più, la metrica di quel periodo che altrimenti rimarrebbe come monco, detto a mezza voce? Forse, davvero, non ce n’è di merito in quello che potrebbe solo sembrare un esercizio di stile, o peggio, di vanità ?

      Probabilmente non ce n’è. E forse questa specie di “nostalgia” linguistica in cui ho coivolto l’attonito lettore è sintomo di vecchiaia, di non-rassegnazione ad una lingua che sta cambiando, evolvendo, verso l’uso più adatto allo scopo. Una sorta di teoria della devoluzione linguistica per cui in una popolazione drogata dai media di massa si riduce il ricorso alla lingua per i soli bisogni primari. Seguendo le icone su un’app di food delivery, non è nemmeno necessario leggere il menu per poter ordinare e ottenere del cibo.

      Del resto che il popolo sia “bue” non è certo un segreto sconosciuto ai più. Non mi si fraintenda: con questo scritto non intendo schernire chi pur profondendo impegno non ottiene la forma verbale, scritta o parlata, desiderata, né intendo pormi su un gradino più elevato, facendo foggia di tanto manierismo. No! altrimenti sarebbe come dare ragione a chi, per contratto, distorce la lingua e abusa dei cavilli linguistici per piegare anche le fattualità più solide, quantomeno, al dubbio che le loro infide parole sottendono.

      Ho scherzato, non scrivo veramente in questo modo se non ci metto un bel po’ di impegno. Ma la considerazione vale: che cosa significa una “comunicazione di qualità”? Dove va ricercato il valore della comunicazione? Nei contenuti o nella forma? Probabilmente “nei contenuti” e “nella forma”, ma con quale quota? con quali proporzioni, con quali criteri? Purtroppo nessuno è Barbero, se non Barbero.

      Propongo, nella mia umile ignoranza in materia, di applicare sempre, metodicamente, un criterio per valutare il valore di una comunicazione: quello dello scambio equivalente (Full Metal Alchemist, scansati!). Questo podcast, questo post, questa live… valeva il tempo impiegato a riceverlo? Mi ha lasciato qualcosa? Mi ha fatto ridere, piangere, ha suscitato in me qualche emozione che ha appagato la mia sete di essa? Ho imparato qualcosa di nuovo? Mi ha fatto conoscere meglio quella persona che parlava o che scriveva? Mi ha fatto entrare in contatto con conoscenze e concetti che avrei voglia di approfondire?

      Sono tutti esiti che hanno un valore, ma come al solito la parte difficile è quella di capire che valore hanno avuto per te. Magari lo realizzerai dopo qualche giorno, quando ti ricapiterà una situazione che te ne risveglia il ricordo, e allora scatterà in te la voglia di scriverne o parlarne, aggiungendo un mattoncino alla narrazione che si arricchirà ancora un po’, per chi arrivierà dopo di te, in un circolo virtuoso che cresce ad ogni iterazione.

      In questo contesto, però diventa importante, anche per il comunicatore, essere in grado di valutare quanto grande è diventato l’ingranaggio che ha avviato, per capire se anche il suo tempo è valso il risultato.

      Prendo ad esempio la prima puntata di #NuovoBarettoUtopia di TeleKenobit andata in onda lunedì scorso (edit: e anche quella di stasera con Bebo!). Per me è stata una comunicazione di valore, perché mi ha dato lo spunto per affrontare alcune considerazioni sulla natura dell’entertainment da web, sul tempo disponibile e su quello ben speso, che in ultima analisi mi ha anche indotto a scrivere questo post. E per Kenobit credo sia stato un successo almeno equivalente al mio, avendo ricevuto numerosi feedback entusiasti e positivi. Ecco… qui non si è dato alcuno spazio alla monetizzazione diretta, o alla pubblicità, o al politically correct. È stato un dibattito (con Sio) rilassato, onesto e spontaneo. Per cui bravi, andate avanti così!!!

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    • Ricerca full-text per un sito statico

      Mantenere un sito web statico (come questo, che è generato “offline” con Jekyll e poi caricato online), è piuttosto semplice e non richiede particolari competenze tecniche. Ma anche le funzionalità che puoi includere per i visitatori sono limitate. Il motivo è semplice: il server che offre al browser le pagine di un sito statico le offre così come sono, senza modificarle prima dell’invio.

      Faccio un esempio: se volessi pubblicare una pagina dove i visitatori possano vedere il meteo aggiornato di Borgo a Buggiano, dovrei ogni qualche ora mettermi a fare le previsioni, o copiarle da un altro sito, risistemarle e ripubblicare la pagina. Questo perché i “contenuti” sono statici: non cambiano se non li cambiamo a mano.

      Ma se il cotenuto che io voglio mostrare NON fosse sulla pagina ma “altrove”, o calcolato non dal server ma dal browser? Potrei anche accontentarmi di non avere io stesso il contenuto da inserire sul sito a mano, ma di prenderlo in prestito o generarlo solo quando la pagina viene aperta da qualcuno sul suo browser. Lascerei, quindi, il lavoro di aggiornamento non al server, ma al browser, al client. Inserendo un po’ di JavaScript sulla pagina, potrei istruirla a recuperare le previsioni di Borgo a Buggiano e il gioco sarebbe fatto, senza che debbano già essere presenti sulla pagina servita dal server web.

      È quello che già succede con i commenti sulle pagine dei post. Sono aggiornati solo quando la pagina viene attivata sul browser. E lo stesso è per i risultati della ricerca sul sito: vengono elaborati e trascritti sulla pagina dopo che la pagina è stata servita al browser; non è il server a comporli, bensì il browser stesso. E lo fa andando a leggersi tutti i testi dei post che sono sul sito.

      Cooome, pregooo????

      Sì, hai capito bene. Il lavoro lo fa il tuo Browser, e per poterlo fare deve acquisire tutto il testo di tutti i miei post e scansionarlo alla ricerca delle parole che hai richiesto. E lo fa scaricando un file (che tutti i siti più o meno hanno) del feed RSS, che contiene tutti i testi di tutti i miei post, quello che trovi in fondo alla pagina.

      Ma quanto mi costa, oh!

      Pochissimo, per la verità. Con i pochi post che ci sono adesso sul sito (23 + 4 podcast al momento della stesura), tutto il testo pesa poco meno di 200 KiB, ma trasferito in formato compresso “occupa” circa 60 KiB. Considera che la pagina di ricerca di Google (quella vuota, solo con la casella di ricerca), cerca di scaricare ogni volta più di 3 MiB, mentre per la pagina con i risultati scarica qualcosa come 11-12 MiB di dati. Quindi diciamo che non sono io a dovermi preoccupare troppo…

      Ma questo volume aumenterà, e quando sarà sopra quella che considero la mia soglia psicologica (250 KiB), inserirò dei filtri sulla pagina per indicare il periodo che si desidera ricercare, in modo da far svolgere al browser un lavoro tutto sommato minimale.

      Schermata della pagina del sito dove è implementata la ricerca testuale

      Per il processo di scansione del testo, invece, il tempo che impiega il browser è davvero irrisorio. Ho inserito una barra di avanzamento, ma anche rallentando il mio browser di 6 volte (c’è una funzione anche per questo!) non riesco a vederla mai riempirsi e la trovo istantaneamente al 100%. Anche in questo caso nel tempo aumenterà, ma non sento al momento l’esigenza di “velocizzarla”. Magari a quel punto mi inventerò qualcosa creando degli indici il più possibile efficienti.

      Quando ero pronto con la funzione di ricerca ho avuto però un dubbio. Era o no il caso di inserirla sulla testata di ogni pagina? In un primo momento ho deciso di fare una pagina dedicata alla ricerca. Però poi ho pian piano cambiato idea… In effetti ha senso. Sì, forse si sarebbe più “invitati” a utilizzare la funzione e si potrebbero scoprire nuovi articoli nteressanti senza scorrerli tutti. E dunque ho fatto qualche piccola modifica: sulla barra di navigazione, dove c’era il link alla pagina di ricerca ho inserito una casella di testo editabile e, alla pressione di “Invio”, un piccolo script chiama la pagina di ricerca aggiungendo il testo cercato nell’indirizzo, come parametro. La pagina di ricerca controlla se c’è un parametro e nel caso lo utilizza come termine di ricerca.

      In questo modo, virtualmente, potrei anche preparare un descrittore openSearch e aggiungere la ricerca sul mio sito tra i motori di ricerca del browser… ma perche dovrei???

      Schermata del mio Firefox con il mio sito aggiunto tra i motori di ricerca, dopo che ho implementato la specifica openSearch
      Perché... Posso!!!

      Come sempre… il codice che ho utilizzato è piuttosto semplice, ma soprattutto accessibile. Non sto pubblicando nulla su Codeberg al momento, perché il mio codice fa schifo… mancano commenti, insomma, è qualcosa di molto artigianale, ma se lo vuoi leggere basta premere F12 e ispezionarlo con i Dev Tools.

      Ovviamente, se tu avessi qualche suggerimento per migliorare alcuni aspetti, fammi sapere nei commenti quali altre funzionalità potrei inserire… tra quelle che non richiedono un server pronto ad eseguirle!

      Grazie per l’attenzione e al prossimo post!

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    • Player podcast custom con p5.js

      È solo da pochi giorni che ho deciso di provare a pubblicare un podcast sul sito. Il mio setup lascia totalmente a desiderare, ma credo che data l’irrilevanza del traffico, per il prossimo futuro possa anche andare bene così. Certo, mi manca un CDN, ma tanto è, e non mi importa molto se i servizi come Google Podcasts, o Spotify non sono serviti al top… anzi…

      Inizialmente per riprodurre il podcast ho provato ad utilizzare il player, messo a disposizione automaticamente dal browser quando di inserisce l’elemento HTML “audio”, per lasciar riprodurre il podcast, ma conformarlo nell’aspetto allo stile del sito mi è sembrato allo stesso tempo assolutamente necessario e una perdita di tempo colossale.

      Meglio investire il tempo in qualcosa di più “formativo”… ed è così che ho deciso di scrivere il mio player personalizzato a partire da zero. Beh… “quasi” zero. … Beh… in verità no, mi appoggio su una solida base che si chiama p5.js (p5js.org) e, trattandosi di audio, sulla libreria p5.sound (p5.sound).

      p5.js rappresenta un “porting” dell’ambiente di Processing (processing.org), una potente libreria grafica per Java - che nel tempo ha visto fiorire numerosissime altre librerie di estensione che ti aiutano a realizzare praticamente qualunque cosa - in tempo reale, in 2D e in 3D, su JavaScript (ed eseguibile su un qualunque browser).

      Per esempio, l’avatar animato che ho pubblicato sul mio profilo Mastodon è catturato direttamente dall’output in tempo reale di Processing, che elabora il flusso video della mia webcam in ingresso, sfruttando la libreria OpenCV per riconoscere il volto e realizzare una sorta di “inseguimento automatico” che lascia il mio bel faccione sempre al centro del frame, anche se mi sposto. Ma io sono un principiantissimo di questo microcosmo che è Processing. C’è gente, là fuori, che fa di tutto (la pagina degli esempi di Processing è scandalosamente fantastica).

      Animazione che rappresenta il mio volto processato come descritto sopra

      Ma torniamo al player… Nella prima iterazione del codice ho utilizzato controlli HTML per i comandi e la visualizzazione della barra di avanzamento, ma, ancora una volta, mi sono scontrato con l’aspetto standard da personalizzare. Purtroppo questa cosa dei controlli in HTML da customizzare con CSS è da incubo: ogni browser, e intendo ciascuno dei tre Chromium, Firefox e Safari ha, per questi controlli relativamente più “nuovi” dell’HTML5, degli pseudo selettori specifici per il proprio motore di rendering, e il CSS per gestirli tutti in modo corretto è kilometrico. Internet Explorer, per me, non esiste più già da più di un decennio, e mi spiace se qualcuno lo utilizza ancora, ma non ho intenzione di supportarlo.

      Quindi ho deciso di disegnare i controlli interattivi direttamente su p5.js (che fondamentalmente genera un elemento “canvas” su cui disegna grafica raster). Devo dire che, sebbene il codice sia triplicato come lunghezza, la complessità di implementazione è diminuita di molto. Per esempio mi sono, diciamo così, “inventato” un modo rapido per disegnare le icone di “play”, “pause” e quelle dei livelli di volume… Dovendo definire lo stile del tema del mio sito in qualche modo, sceglierei l’espressione “Legacy of round pixels”… e le icone sono immagini molto stilizzate realizzate su una matrice di puntini.

      Quindi mi sono detto:

      Ma perché non trovo un modo per disegnarle come farei su paint?

      Detto, fatto! Le icone del player, sul codice, hanno questa rappresentazione:

      const playIcon = [
        "       ",
        " oo    ",
        " oooo  ",
        " ooooo ",
        " oooo  ",
        " oo    ",
        "       "
      ];
      

      È un “play”, no?

      E così, passando questa costante a un metodo specifico lo posso trasformare in cerchi di dimensioni a piacere ogni volta che incontro una “o”, e cambiare l’icona semplicemente passando un’altra costante. Ovviamente avrei potuto codificare un piccolo PNG direttamente in uns stringa Base64, ma non avrei avuto la stessa flessibilità per il dimensionamento.

      La libreria P5.js-sound, invece è potentissima. Io ho sfruttato solo una frazione delle sua capacità, oltre alla riproduzione dell’audio, ovvero la FFT che visualizza una grossolana approssimazione dello spettro della mia voce, calcolato in tempo reale dal tuo browser. Ma, come dicevo, le capacità della libreria sono ben più articolate di così.

      Visualizzazione grafica del player del pocast in azione con animazione della FFT
      Il mio 77nn-player in azione con animazione della FFT.

      Ora ci sarà qualcuno che andrà a vedere il codice che ho scritto (che è sul vostro browser in chiaro, su ogni pagina del podcast) e noterà che è puro e originale spaghetti code al 100%. Ma del resto non sono “professionalmente” uno sviluppatore… quindi stacci.

      Non mi resta che augurarti un buon ascolto, e invitarti a seguire il mio Podcast. È gratuito, senza pubblicità e non devi iscriverti a nessun servizio, basta che copi il link del feed in fondo, ma proprio in fondo, alla pagina sul tuo player preferito.

      Grazie per la lettura e a presto!

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    • La WEI di Google non è una buona notizia

      Avevo l’intenzione di fare un post riepilogativo delle novità che ho introdotto sul sito recentemente, però c’erano troppe cose da dire per un post unico… quindi parliamo di WEI, ovverosia il WEB-ENVIRONMENT-INTEGRITY, la novità uscita del cilindro di 4 o 5 sviluppatori alle dipendenze di Google.

      Volevo fare il punto su quanto letto in giro e raccontare di compe ho implementato una misura di dissuasione… ma forse è meglio dire di protesta. Vedrai più dettagli in seguito.

      Perché la WEI

      Come ho già detto è l’acronimo di Web-Environment-Integrity e si tratta di una API.

      È una notizia piuttosto recente il coinvolgimento di alcuni sviluppatori dipendenti di Google (che invece non ha rilasciato dichiarazioni contrariamente a quanto indicato superficialmente in molti siti web italiani di notizie… lasciamo perdere la professionalità!) in un progetto per la realizzazione di questa una nuova API, in cui danno delle spiegazioni ipotizzando dei casi d’uso. Questo il testo integrale (preso da Internet Archive just because): Web Environment Integrity Explainer

      In particolare, gli sviluppatori considerano gli utilizzatori dei pirla totali, per cui:

      Gli utenti adorano visitare siti web costosi da creare e mantenere, ma non vogliono pagare “direttamente”. Questi siti si mantengono con la pubblicità, e i committenti possono solo permettersi di pagare per annunci visti da esseri umani. Dunque c’è questa esigenza di provare ai siti web che un utente sia realmente umano e non un robot.

      Che cos’è la WEI

      In due parole: una API del browser (primariamente immagino Chrome) interrogabile dai siti web per sapere se il browser è integro ovverosia risponda a tutta una serie di “criteri” (che verranno definiti poi in seguito) che immagino possano essere cose del tipo la versione del Browser, del Sistema Operativo, se c’è installato un Ad-blocker o estensioni ritenute (da qualche criterio) dannose o pericolose. Perché non devi sfuggire alla pubblicità, visto che i poveri investitori non possono permettersi qualche bot o scraper di contenuti.

      Tralasciamo pure che, a mio parere, chi genera la maggior parte dei ping verso i siti web sono i bot di Google, Microsoft, Amazon, etc.

      In pratica vogliono mettere al browser che utilizziamo la medaglia di “bravo cittadino obbediente alle multinazionali della sorveglianza” prima di far sì che i siti web “clienti” di questa API vogliano inviarci i loro contenuti. Ho scritto diversi post su Mastodon, relativamente a questa questione e anche uno su LinkedIn (prima che il mio account fosse “rubato” e svuotato di ogni informazione precedente), ma il succo resta lo stesso: questa cosa viola una regola fondamentale dell’internet: la NET NEUTRALITY.

      La rete, ovverosia l’infrastruttura su cui internet si appoggia, deve essere neutra, cioè deve offrire un servizio uniforme a tutti gli utenti senza essere condizionata dagli interessi di chi pubblica o fruisce dei dati che vi transitano. E i browser fanno, eccome!, parte di questa infrastruttura.

      Considerazioni etiche

      Dal momento che io non desidero che qualcuno imponga i suoi criteri di integrità, guidati dal solo interesse, per la fruizione di un bene dell’umanità. Soprattutto se questo “qualcuno” ha un track-record di violazioni della privacy, multe miliardarie da autorità garanti della privacy e dell’antitrust per violazione dei suoi stessi TOS, e soprattutto nello scenario in cui implementando questa porcheria si facessero ancora una volta collettori di ulteriori dati che possano aiutarli a chiudere ancora di più la valvola che regola il diritto alla riservatezza di ognuno di noi.

      Ne hanno parlato anche altri, molto meglio di me anche altri, ma in Italia pere che questa cosa sia quasi passata inosservata. Vi linko un articolo più autorevole del mio:

      Come protestare in modo pacifico

      Altri nerdoni come me, hanno pensato di attivare una forma di protesta che funziona al contrario del WEI, e rende indisponibili o difficilmente fruibili i nostri siti web se il browser che li visita utilizza questa API. E dunque se visiterai il mio sito dopo che Google avrà messo WEI anche sul tuo browser Chrome, vedrai comparire questo bellissimo popup su ogni pagina.

      Esempio del popup anti-WEI implementato su questo sito
      Esempio del popup anti-WEI implementato su questo sito.

      Per fare la stessa cosa sul vostro sito web, al momento nella comunità tech si ritiene che questa sia la condizione da verificare con JavaScript:

      navigator.getEnvironmentIntegrity!=undefined
      

      Mentre questo è il codice che ho aggiunto in fondo ad ogni pagina del mio sito:

      if(navigator.getEnvironmentIntegrity!=undefined){
        var dialog = document.getElementById("Wei-Dialog");
        dialog.showModal();
        var dialogText = document.getElementById("Dialog-Text");
        dialogText.innerHTML="<h1>Attenzione! Il tuo browser contiene il DRM di Google</h1><p>'Web Environment Integrity' è un 'eufemismo' creato da Google per introdurre un sistema che limita l'utilizzo di AD-blockers oltre a raccogliere una mole di informazioni sul tuo ambiente operativo.</p><p><b>Io sono sostenitore di un web aperto e libero, e per protesta il mio sito web non funzionerà correttamente con browser che impongono il DRM di Google.</b></p><p>Se vuoi contnuare ad utilizzare il web con browser che protegge la tua privacy e supporta gli AD-blockers puoi utilizzare <a style='color: black' href='https://www.mozilla.org/en-US/firefox/new/'>Firefox</a>.</p>";
      

      Adesso ho spiegato quasi tutto quello che avevo da dire… ma ho un altro post in cottura che richiede un po’ più di tempo.

      E con questo è tutto per oggi. Ti ricordo, se non ci avessi già fatto caso, che ho iniziato un Podcast, pubblicato qui o anche su Spotify: provalo e fammi sapere cosa ne pensi!

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  • Jul-2023

    • Una sola Verità.

      Sono sempre molto confuso quando affronto discussioni in cui, ad un certo punto, qualcuno tira fuori qualcosa del tipo: “La verità è questa…” oppure “Ci nascondono la verità”. La Verità è un concetto molto discusso nella filosofia di ogni epoca, ovviamente con posizioni molto diverse… e io non mi sento particolarmente preparato, né sufficentemente arrogante, per avere una posizione mia alla pari di giganti come Hegel, Popper o Heidegger. Non posso quindi che raccontarti la mia umile esperienza con questo concetto.

      Un disclaimer iniziale: questo post potrebbe essere interpretato anche in chiave teologico-religiosa, ma è lontano da me questo intento. Il contesto di questo post è puramente fisico, non metafisico né spirituale.

      Da piccolo, quando i miei genitori non credevano alle mie spiegazioni per qualche guaio che avevo combinato, mi dicevano “Di’ la verità!”. Ricordo che in questi casi le mie “verità” erano combinati di fatti, bugie, sfortune e buone intenzioni, raccontati con il solo scopo di non aggravare la mia posizione e evitare una punizione troppo severa. Quella che percepivo come “vera” verità, era invece qualcosa di molto banale: il guaio capitato di certo per incuria, ingenuità o inconsapevolezza. O per sperimentare qualcosa che aveva portato ad un danno irreversibile su qualche pezzo di arredamento, come quando misi il forchettone di ferro nel caminetto accesso e poi, rovente, ci marchiai a fuoco la cornice in legno, che emise uno sfrigolio e tre colonnette di fumo denso estremamente soddisfacenti. La spiegazione “volevo vedere cosa succedeva” sarebbe stata marchiata come idiozia totale, ma quella del “non me lo aspettavo, c’era uno scarafaggio sulla cornice e lo volevo colpire” sembrava più convincente. Ma non era la verità.

      Ciò che da piccolo mi impediva di raccontarla in ogni circostanza, ho scoperto in seguito, era la mancanza di fiducia verso i miei genitori. Temevo che non avrebbero accettato una “versione di me” troppo immatura o inaffidabile. Ovviamente mi sbagliavo, ma non c’era modo di saperlo con certezza - era una verità inaccessibile. Quando da più grande mi resi conto che anche i miei genitori avevano debolezze e facevano anche loro errori di leggerezza o igenuità qualcosa scattò dentro la mia testa e divenni tutt’un tratto consapevole della mia identità. Non avevo più bisogno di nascondere le mie motivazioni, le ragioni dei miei fallimenti, riuscivo ad essere più onesto ed anche esigente con me stesso. Fu la conquista della verità.

      Ma fu solo temporanea. Presto mi trovai a fronteggiare un’altra sfida, ossia la manipolazione della verità ad opera del linguaggio. Il linguaggio naturale è inadeguato a rappresentare la vertià fattuale e oggettiva, e il motivo è la sua carenza di una definizione formale, come invece lo è quello matematico. Questo crea un “gap” (volontario o meno, non importa) tra la verità e la sua rappresentazione (Hegel, ci sei?). Avete mai visto quel video in cui c’è una fila di persone che disegnano una immagine sulla schiena replicando i movimenti che percepiscono sulla propria? Quello che il primo disegna una faccia e il tizio in fondo alla fila, invece, una merda. Siamo a questo livello.

      Quindi se la verità è, ad esempio, un evento localizzato di cui siamo testimoni diretti, e assieme a noi ci sono altre persone che assistono, difficilmente otterremo da ciascuna lo stesso racconto di quell’evento. Ci sarà chi ha sentito di meno, o non ha capito alcune parole, chi non ha visto bene perché era in una posizione svantaggiata, chi conosceva, chi non sapeva, chi è arrivato un momento più tardi, chi ha frainteso le circostanze. E parliamo magari di una cosa molto semplice, come un incidente d’auto. Si potranno fare dei rilievi e stabilire alcuni dei parametri di questo evento: la durata, la velocità in cui le auto si sono scontrate, chi ha frenato più a lungo… tutti puntini discreti nel tessuto continuo di un evento, che si potranno unire, forse anche in modi diversi, per fornire delle ipotesi di verità che non potranno mai, fino in fondo, essere verificate né smentite. Ma siamo anche esseri pratici, e forse non è necessario conoscere ogni minimo dettaglio, se ci focalizziamo su di uno specifico contesto. Nel contesto dell’incidente di prima, quello che è sufficiente è capire come attribuire la responsabilità dell’evento, mentre in altri contesti ci interesserà solamente la dinamica fisica, o quella psicologica, o se esiste un disegno più ampio che coinvolge più attori.

      Cosa succede, dunque, quando la Verità che vogliamo conoscere è articolata, comprende eventi accaduti a distanza di tempo e spazio, con attori differenti, con motivazioni differenti? Che cosa possiamo affermare essere Verità? Semplicemente non possiamo, e chi pretende di conoscere la Verità ha sempre e solo torto. Ma sempre questa stessa persona può avere motivi, intenti e obiettivi, e comprenderli può diventare un filtro per ripulire la sua verità da un bias. Le motivazioni diventano una meta-verità, che non è verità di per sé, ma ci da indizi su quale direzione prendere per comprenderla meglio. Così facendo, interrogando tutti i sospetti e rilevando tutte le tracce in perfetto stile CSI si giungerà alla Verità.

      Ma ai fini pratici, è corretto pensare che esista una sola verità? Non è più pratico pensare che esistano, per ogni evento, più verità diverse? Del resto la fisica quantistica si basa esattamente su questo concetto di superposizione per cui due stati fisici differenti insistono contemporaneamente su una stessa entità, ed esiste certamente anche un modo formalmente corretto per descrivere questa condizione. Per la fisica subatomica probabilmente è possibile, ma come possiamo descrivere una funziona d’onda per gli eventi rilevanti nella nostra vita sociale, lavorativa e familiare?

      Probabilmente non possiamo, e l’unica cosa vantaggiosa che rimane da fare non è forse quella di abbandonare il concetto di verità assoluta e iniziare a convivere con l’incertezza e con la probabilità? Forse il catturare quanti più frammenti di verità che riusciamo, potrebbe aiutarci a far pendere la bilancia della probabilità a nostro personale beneficio, o a beneficio di chi o ciò che ci sta più a cuore?

      Capisco che qualcuno potrà accusarmi di opportunismo o di estremo relativismo, e lo accetto. Ma vorrei anche capire quali alternative restano, quale più alto beneficio si otterrebbe nell’accogliere una verità assoluta che nel migliore dei casi ci nasconderebbe le altre verità dall’esistenza. Un po’ quello che fanno i nostri Social Network preferiti: ti lasciano costruire delle confortevoli bolle sociali, in cui tu e i tuoi contatti avete visioni simili, e lasciano che questo potenziamento della nostra produzione di serotonina funga da rinforzo delle nostre identità a convizioni, e inibisca la capacità di metterli in discussione.

      Se mi permetti, preferisco tenermi il mio caratteraccio e le mie periodiche crisi di identità, che, se da un lato è vero che non mi danno alcuna magica visione della Verità, almeno non mi fanno annoiare mai!

      • Se vuoi una guida per addentrarti nel concetto filosofico di Verità non ho trovato di meglio che questo immenso articolo del Dizionario di Filosofia Treccani
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    • Commentare il blog dal Fediverso - Aggiornato

      Qualche giorno fa mi sono imbattuto in un post di Jan Wildeboer (link in fondo all’articolo) dove spiegava come è riuscito a utilizzare Mastodon come sistema di commento per il proprio blog statico (realizzato con Jekyll, proprio come il mio!).

      In realtà l’implementazione è piuttosto semplice (a saperla fare!) e ho quindi deciso di provarci anche io.

      Quello che mi è piaciuto di più di questo metodo è che i commenti vengono caricati a richiesta del visitatore, che non risiedono sul mio server, che l’interazione è a carico del browser e che ho la possibilità di attivare o disattivare la visualizzazione dei commenti, pagina per pagina. Nessun codice di tracciamento, nessun dato inviato a chiccessia, se non una sola chiamata alla mia istanza Mastodon.

      A partire da oggi, quindi, potrai commentare i miei post utilizzando la tua istanza preferita di Mastodon o di qualunque altro social che implementi il protocollo ActivityPub.

      Quindi non aspettare altro, iscriviti e non dimenticare di seguirmi!

      [Edit 2023-10-14]: In realtà ho deciso di disattivare questo sistema di commenti dopo circa 3 mesi di utilizzo. I motivi possono essere riassunti così:

      • Mastodon è una piattaforma di microblogging che per design è effimera. I post hannouna caratteristica di auto-cancellazione dopo periodi (attivabili e impostabili) e le istanze potrebbero decidere di gestire la pulizia degli status più vecchi, o defederare altre istanze senza preavviso, o bloccare e rimuovere utenti. Certo, si potrebbe pensare di farsi una propria istanza e gestire i propri status come si desidera.
      • Partendo dal sito dove si leggono i commenti, per poter partecipare alla conversazione occorre avere un account nel Fediverso, e questo è limitante per chi non ce l’ha e/o non vuole averlo. Inoltre l’implementazione di questo meccanismo per rispondere ad un messaggio non è affatto semplice per chi non ha un account sull’istanza di origine dei commenti: dovrebbe loggarsi alla propria istanza, incollare lo status sulla ricerca e trovare il post da commentare. Non è affatto pratico.

      Lascio comunque il ringraziamento originale a tutti gli amici del Fediverso che con pazienza e affetto mi hanno aiutato a testare l’implementazione.

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    • 3 Ragioni per curare un account su LinkedIn

      LinkedIn è definito in molti modi. Io ritengo che sia un social network orientato alle relazioni di affari e lavoro. Probabilmente non è stato il primo servizio online dedicato al business, ma la sua preponderanza odierna di iscritti attivi, rispetto a tutti gli altri - magari più settoriali o di nicchia - è indice del fatto che probabilmente ha interpretato meglio questa esigenza, offrendo una ampia gamma di servizi e possibilità di interazione. Per chi cerca un lavoro, o voglia esplorare altre opportunità di carriera, in ambito tecnico, professionale o manageriale, probabilmente rappresenta la più grande offerta mondiale. Inoltre consente di mantenere delle cordiali, benché opportunamente distinte, relazioni con fornitori, clienti, colleghi e - in qualche caso non senza imbarazzo - con conoscenti, amici e parenti.

      Se hai letto l’articolo fino a questo punto, ti devo dare un brutta notizia, poiché le ragioni per avere un account sono già finite. Certo potrei dire, affermando la verità, che il mio attuale impiego, e anche il precedente, li ho trovati proprio su LinkedIn, e per questo sono loro profondamente grato per aver creato questa piattaforma. Ma il lavoro che ho ottenuto attraverso LinkedIn (e non grazie, come compare sul profilo) sinceramente e onestamente, me lo sono guadagnato con le mie forze e competenze. Non è che LinkedIn mi abbia raccomandato perché consapevole delle mie capacità…

      LI è certamente una realtà importante per molti che leggeranno questo articolo (hai 2 possibilità su 5 di essere una persona che ha seguito il link sotto al mio post su LinkedIn), e non vorrei sembrare troppo irriconoscente verso questa piattaforma che tutto sommato da la possibilità di esprimermi anche con una voce critica, seppure io abbia predisposto una sorta di trappola semantica con titolo, descrizione e primo paragrafo di questo post, per cercare di non essere sgamato da qualche bot addetto all’individuazioni di post malevoli, e avendo inserito il link a questo post in un commento, per non essere penalizzato nelle impressioni sulla timeline per aver condiviso un link esterno.

      Ma fino a qui va tutto bene. Tutto è nei parametri di un normale servizio gratuito, e per alcuni con qualche forma di premiumship, che in cambio di qualche “misero” metadato (età, sesso, luogo di attività, professione, esperienze, progetti, competenze e rete di relazioni) offre la possibilità di espandere la propria rete e avvicinarsi a tutte le fantastiche opportunità di lavoro, relazioni ed esposizione che meritiamo.

      Credo di essere, anche per LinkedIn, un early adopter dato che la mia iscrizione risale a prima del 2008, in un’epoca in cui il sito era solo in inglese. Avevo deciso di creare una identità online, essere professionalmente riconoscibile e di aiutare la crescita dell’Azienda per cui lavoravo all’epoca. E lo rifarei.

      Il mio problema con LinkedIn, oggi, è legato all’appiattimento e all’abbrutimento di una maggioritaria massa di individui, che generano un inutile rumore di fondo con contenuti di scarsissima qualità, talvolta copiaincollati da Facebook, da TikTok o da altre improbabili sorgenti (incluso, ma non limitato a, ChatGPT).

      Contenuti che con il business non hanno nulla a che fare: meme motivazionali, annunci equivocabili e spesso non veritieri, profusioni di buzzword per cavalcare gli Hype Cycle di Gartner, campagne di investors distraction, millantazioni e ostentazioni varie ed eventuali.

      Saruman che osserva il Palantir, con sovraimpresse le lettere 'in' di LinkedIn. I diritti dell'immagine appartengono a Middle-earth Enterprises, fair use.
      E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te. (Friedrich Nietzsche)

      Questo rumore rende più difficile l’individuazione di contenuti meritevoli di attenzione, e, per i loro abituali autori, incoraggia la riduzione nella loro produzione e diffusione. Questo è un beneficio, che inizialmente tutti gli utenti avevano, che ci è stato tolto unilateralmente dalla piattaforma. Meno 1.

      Dal punto di vista delle relazioni e dei nuovi contatti, poi, a parte le connessioni per conoscenza diretta, la stragrande maggioranza di quelle estranee di cui ho avuto esperienza, appartengono a 2 sole categorie:

      • quelle che fanno tiro a volo con qualunque profilo abbia una minima attinenza con la loro prospect persona proponendo brochure, cataloghi, prodotti al primo contatto.

      • quelle che propongono irrinunciabili opportunità di assunzione, per job description fumose, incomplete e senza contesto, in cambio di un nuovo e sgargiante CV per le loro banche dati.

      Una volta, per lo meno, ci si leggeva sui gruppi, ci si interessava gli uni gli altri e si decideva di stabilire una connessione, hai visto mai che in futuro potesse rappresentare una reciproca opportunità. Questo networking positivo, che in un paio di occasioni ho realmente sperimentato, è stato provvidenziale e soddisfacente. Peccato che non sia più perseguibile. Meno 2.

      Infine volevo evidenziare un aspetto più sociologico. Non sono un sociologo, ma non sono estraneo ad alcuni concetti di base della disciplina, ossia alle relazioni di potere. Più scorro la timeline preparata dall’algoritmo di LinkedIn, più noto, con sempre maggiore frequenza, l’irradiarsi di relazioni asimmetriche in cui alcuni soggetti qualificati, esprimendo idee velatamente antisociali (razzismo, sessismo, e altre atroci amenità) sono in grado di raccogliere numerosissime reazioni di approvazione, commenti carichi di revanchismo, lodi sperticate… e qualcuno che ci mette sopra anche un carico da 10. Poi vai a vedere chi siano queste persone acclamanti ed entusiaste e trovi impiegati della stessa azienda (ma di più basso rango), potenziali fornitori, perfetti sconosciuti che però vogliono una parte di soddisfazione. E osservo conoscenti, di cui conosco pensiero e personalità, magari mettere una “faccina sbiadita” senza nemmeno lontanamente sognarsi di rispondere per le rime, perché il loro capo ha messo invece il “pollice in sù”.

      Queste dinamiche del potere fondate sulle Emoji mi terrorizzano e mi fanno riflettere su che cosa sia giusto fare. Meno 3.

      Ma vale davvero la pena esporsi ai propri contatti “di valore” andando controcorrente e prendendo posizione non per opportunità, ma per convinzione? Vale la pena rischiare una shitstorm da personaggini di tale fatta per il solo gusto di voler, per una volta, rispondere a tono a una affermazione che ti tappa la vena? Non è forse questo il famoso troll a cui non va assolutamente dato cibo?

      Del resto, però, questo è LinkedIn, mica Facebook! Qui mica ci si può nascondere dalla sciorinata di (rispettabilissime) politiche delle Fortune 500 che predicano rispetto e diffusione di diritti civili e sociali, riduzione della carbon footprint ed elogiano il valore delle diversità!

      Non conosco la risposta giusta, come sempre per le questioni più social. Semplicemente perché forse sono tutte giuste, ma nessuna sufficientemente convincente… ma facciamo così: io proverò a far esporre delle ragioni, ad estrarre un razionale sensato, a fare affermazioni il più possibile documentate, ma se poi mi senti mandare qualcuno a cagare, invece di togliermi il saluto, mandami un applauso!

      Buon LinkedIn!

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  • Jun-2023


  • May-2023

    • IA: Opportunità e Rischi dei modelli di linguaggio

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    • Mastodon, il Fediverso e il web 'alternativo'

      Circa 6 mesi fa ho preso una decisione “forte”, ovvero ho eliminato tutti i miei account social (fatta eccezione per quello su LinkedIn che per me rappresenta un interesse professionale non trascurabile) dopo averne difficoltosamente1 scaricato tutti i dati.

      1. “Difficoltosamente” non tanto per l’azione in sé, ma perché è estremamente complicato, anche per uno che non è a digiuno di workflow automation, riassociare i testi e le immagini caricate. 

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    • Controllo hash da menu contestuale

      Molti publisher di software FOSS offrono la possibilità di verificare l’integrità dei pacchetti software scaricati dai loro siti web. Questa è anche una comune pratica di Data Integrity adottata nell’Industria per garantire che un file non sia stato alterato dopo la sua emissione o approvazione formale.

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  • Apr-2023

    • (R)Esistiamo!

      Non c’ero. E non sono nemmeno sicuro, se fossi stato vivo e vegeto, da che parte mi sarei schierato. Avrei preferito il privilegio riservato ai collaborazionisti del regime fascista, accantonando ogni dignità e senso di giustizia per favorire la sopravvivenza e il benessere della mia famiglia, o avrei imbracciato il fucile e sarei andato a fare la Resistenza, abbracciando un ideale che poteva portare alla tortura e alla morte mia e di tutti i miei cari?

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    • Plain text rocks!

      Da anni utilizzo un normale editor di testo (o meglio, una versione “superaccessoriata” di un editor di testo - link in fondo alla pagina) come principale strumento di lavoro. E il mio lavoro non è, principalmente, quello di scrivere codice. Quello che ho intrapreso è comunque un altro viaggio, non una meta che ho trovato, e il compromesso tra purezza e usabilità è sempre necessario.

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  • Feb-2023

    • Password: che casino!

      Questo articolo non parte da premesse tecniche né prende in esame analisi comportamentali. Sono per lo più considerazioni - oso dire - etico/filosofiche sulla natura di ciò che protegge le nostre informazioni personali, nel momento in cui le affidiamo a servizi online.

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  • Jan-2023

    • Scripting sicuro con Powershell

      Lo scripting è una pratica comune nel mondo IT: consente di svolgere molte oprazioni rapidamente e in modo ripetibile su una grande quantità di piattaforme alla volta. Ma comporta anche dei rischi, soprattutto nel caso di script articolati, quando il tecnico è ancora un po’ troppo verde, o quando si utilizzano componenti di terze parti scarsamente documentati o contenenti bug non noti. In questo post mi riferisco esclusivamente a scripting in ambiente Windows, conoscendolo piuttosto bene nelle sue diverse sfumature e dialetti.

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    • Sul Comando: autorità e responsabilità

      C’è una sottile differenza tra la parola gestire e la parola governare. E, a seconda dell’ambito a cui si applica, le differenze possono emergere più o meno chiaramente. Questa differenza è puttosto evidente nello sport, nella politica e anche nella vita familiare. Non vale la pena scomodare una Treccani o la Crusca per ottenere una definizione su cui basare il mio discorso… piuttosto vorrei dare un significato a questi due termini facendo una similitudine con un tipo di organizzazione che mi è abbastanza familiare, cioè una nave.

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    • Abbracciamo le IA generative!

      “[…] what we know for certain is that at some point in the early twenty-first century all of mankind was united in celebration. We marveled at our own magnificence as we gave birth to AI.” (Morpheus, The Matrix, 1999)

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  • Nov-2022

    • Asteroidi e colonne

      Sono una persona di struttura, con una buona attitudine al pensiero laterale, una discreta creatività e una velocità di apprendimento piuttosto elevata, ma non ho spirito imprenditoriale né di competizione. Non sono un “talento”, ma ho faticato e studiato molto per costruire negli anni le mie competenze. Posso dire che le mie basi sono solide, ma non sono “lanciato” in carriera. Sono probabilmente ciò che alcune organizzazioni chiamano “solid contributor”.

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    • Il grande disagio del 18 Novembre 2022

      Speravo di aver trovato una casa social tranquilla, poco inquinata dal trash mainstream. Mi stavo arredando il salotto, con cura e meditata lentezza, quando hanno fatto irruzione spaccando la porta a calci. Calci pesanti di anfibi impietosamente sporchi di fango.

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    • Mi etichetto da solo, grazie!

      È inevitabile, quando si interagisce, incontrare opinioni in cui non ci si riconosce. Si può tagliare corto, la maggior parte delle volte, o approfondire quando non si ha una solida opinione in merito, oppure lasciar perdere perché è la #giornatadellagentilezza.

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    • Un meta-post sulla necessità di comunicare

      Ero abbastanza indeciso se scrivere queste parole o se destinarle all’oblio, ma il fatto che tu le stia leggendo, in qualche modo mi giustifica, a posteriori.

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